Corriere della Sera

Bono: «Giovanni Paolo II? È stato il nostro Osimhen»

Napoli, l’omaggio del leader degli U2 al padre con «Torna a Surriento»

- Sandra Cesarale

NAPOLI «Posso ricantarla?», chiede Bono Vox. Non fa in tempo a finire la frase, perché i 1.400 spettatori che affollano platea e palchetti del San Carlo di Napoli gli rispondono in coro. Non aspettavan­o altro.

Così la voce più militante degli U2 attacca per la seconda volta Torna a Surriento, ripresa da un operatore con cinepresa a spalla. La canzone è un omaggio al padre Bob («Un bravissimo tenore») e a quel Sorrento Lodge dove i due si incontrava­no per anni, la domenica, a bere birra. Il napoletano di Bono è parecchio zoppicante e ci vuole un bel coraggio per intonare il classico di Ernesto De Curtis proprio sotto al Vesuvio. Ma il coraggio non manca a Bono che in Stories of surrender firma la sua resa a demoni e debolezze. E gli spettatori si arrendono: all’ultima nota sono in piedi per applaudirl­o al termine di due ore di spettacolo tra canzoni e (tanti) ricordi.

Quella di sabato scorso nel teatro lirico più antico d’europa è stata l’ultima data del tour teatrale, partito in autunno, che ha visto Paul David Hewson da solo sul palco, senza gli U2. In platea il ministro della Cultura Gennaro Sangiulian­o, Nicoletta Mantovani, vedova Pavarotti, con la figlia Alice, il dj e produttore Martin Garrix. Al pubblico, come per ogni data, è stato richiesto di indossare vestiti da grandi occasioni: uomini in nero e donne in abito da sera. Vietatissi­mi i cellulari, sigillati dentro sacchetti perché lo spettacolo — nato dal libro

Surrender, 40 canzoni, una storia — diventerà un film. In un angolo due poltroncin­e, al centro un tavolo e quattro sedie. Sullo sfondo si proiettano i disegni che raffiguran­o grattaciel­i, i volti dei genitori, il cottage giallo dove provavano gli U2. Sul palco, Gemma Doherty (arpa e tastiere), Kate Ellis (violoncell­o) e il produttore Jacknife Lee (direttore musicale e percussion­i elettronic­he). Quando arriva Bono, scatta la prima di tante standing ovation. Occhiali tondi, gilet a righe, giacca scura: «Ciao, benvenuti — dice in italiano — Napoli, the city of campioni».

Lo show è una dichiarazi­one d’amore. Alla moglie Ali e ai quattro figli («Mi hanno salvato da me stesso»); agli U2, compagni di scorriband­e musicali: Larry («Pensavo: il suo tuono indoor tirerà giù le mura di casa»), The Edge («Poteva suonare quello che voleva»), Adam («Devoto del rock. Non sapeva suonare, ma io non sapevo cantare»). Bono somiglia a un attore d’esperienza, salta sul tavolo, sposta sedie, imita personaggi. Esilarante la scena in cui il quartetto si presenta al «Winston Churchill del rock», il manager Paul Mcguinness («Dio vi ha chiamato per dirvi di smettere? Glielo raccontate voi che avete un tour negli Usa?»), interpreta se stesso e suo padre durante i laconici incontri al pub. «Gli dissi: mi ha chiamato Pavarotti. E lui: avrà sbagliato numero». Vita e morte si intreccian­o, come quando nel 2016, il suo «cuore eccentrico» rischiò di fermarsi. E poi gli omaggi ai Ramones, a big Luciano («Grazie maestro»), il ricordo di Lady D. Sparse tra una storia e l’altra, a volte solo accennate (Iris, per la madre), le canzoni vestite di nuovo. Non c’è la band, ma Vertigo, City of Blinding Lights, With Or Without You non perdono potenza.

C’è una buona fetta della vita di Bono in Stories of surrender, Sunday Bloody Sunday e Pride introducon­o l’impegno umanitario. Parla dell’incontro con Giovanni Paolo II: «Un portiere in gioventù diventato un marcatore. È stato il nostro Victor Osimhen». Arrivano implacabil­i Desire e Beautiful Day. «Mi devo arrendere — dice — alle canzoni che mi raccontano».

Confession­e

Mia moglie Ali e i miei quattro figli mi hanno salvato da me stesso

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Bono Vox, 63 anni, sopra e a destra durante lo spettacolo al San Carlo
Sul palco Bono Vox, 63 anni, sopra e a destra durante lo spettacolo al San Carlo
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