Il piano Inzaghi modello Benfica: attaccare subito e segnare il gol della tranquillità
Il disgelo con Marotta «Penso che resterà»
Fra i tanti vantaggi che l’inter ha maturato in vista della semifinale di ritorno con il Milan c’è anche il fatto di aver già vissuto una situazione identica ai quarti contro il Benfica, dopo aver vinto 2-0 al Da Luz. Il risultato è scivoloso, nel senso che il margine è ampio e crea una zona di confort in una serata dove non è consentito alcun rilassamento. Perché basta un gol subìto per entrare in affanno psicologico. Quindi Simone Inzaghi ha ben chiaro il piano di atterraggio a Istanbul: ripartire davanti al proprio pubblico come se si cominciasse da 0-0 e aggredire il Milan esattamente come all’andata, quando sono bastati undici minuti per marcare la differenza, rimanendo con il rimpianto di non aver segnato il terzo gol. L’inter non vuole assolutamente trovarsi nelle scomode condizioni di dover rincorrere, anche se nelle ultime settimane di grazia ha vinto anche in rimonta, contro la Lazio, cosa che addirittura non le riusciva da fine gennaio a Cremona. In Champions la squadra di Inzaghi non ha subito gol sette volte su undici e — a parte le due sconfitte nette con il Bayern — è andata in svantaggio solo al Camp Nou, rimontando e poi facendosi raggiungere sul 3-3: è stata quella la sera che ha sbloccato l’inter nella prima parte di questa stagione così pesantemente condizionata dal Mondiale e le ha dato quella autostima di cui Inzaghi ha parlato alla vigilia del derby. Fino a un altro 3-3, quello con il Benfica, il metodo Inzaghi ha funzionato per lo più in Champions e Coppa Italia, nelle partite senza un domani. Lo ha spiegato bene il vice Farris sabato sera: «Nei momenti peggiori, Simone ci ha detto di crederci». Semplice, spiegato così. Ma dove quasi tutti vedevano un muro l’allenatore vedeva un modo per scavalcarlo. Altrimenti non si spiegherebbe come a ogni bivio l’inter abbia preso la strada che l’ha portata fino a qui, molto vicina alla finale di Istanbul. Anche perché in alcune occasioni (Barcellona all’andata, Porto al ritorno e Benfica all’andata) imboccare la strada sbagliata avrebbe potuto significare un esonero, perché una buona parte delle undici sconfitte in campionato hanno rischiato di incrinare il rapporto con la società. Inzaghi sabato era senza voce ma oggi sarà presente in conferenza stampa e sarà interessante capire come ha preso le parole pronunciate nei giorni scorsi dall’a.d. Marotta, che ha aperto a una riconferma dell’allenatore che ha un altro anno di contratto («Resterà? Penso di sì»), ha dato 7 alla stagione nerazzurra finora e ha anche ammesso «alcune colpe del management» nei frangenti di maggiore difficoltà, spiegando che alcuni momenti di durezza da parte sua sono stati necessari per
tirare fuori il massimo da Inzaghi e dai giocatori. Una specie di terapia d’urto per motivare un gruppo poco incline a trovare gli stimoli contro le cosiddette provinciali, che alla fine ha fatto bene all’inter e al suo allenatore, uscito corazzato dai momenti più delicati, nei quali ha sofferto forse più del necessario anche per una certa mancanza di comunicativa che finisce per penalizzarlo e farlo mostrare in qualche modo remissivo quando invece non lo è. Tra le tante cose dette e scritte quella sicuramente sbagliata riguarda il rapporto tra Inzaghi e la squadra. È vero che in alcune situazioni limite (come a Salerno) il tecnico sembrava smarrito per la sequela impressionante di errori commessi dai propri attaccanti. Ma non è vero che aveva perso la presa sul gruppo, che del resto nelle grandi notti si è sempre ritrovato e anche nei pomeriggi peggiori ha sempre creato parecchio, senza tirarsi mai indietro. Figuriamoci se può farlo ora, a un passo da un viaggio che nessuno dei nerazzurri ha mai intrapreso in carriera.