Eurovision, un eccesso di estetica per piacere a ogni costo
Non so se portarmi dietro il ricordo di Marco Mengoni che sfila sul palco dell’eurovision 2023 con la bandiera Lgbtqia+ o quella di Kate Middleton: seduta al pianoforte, la principessa del Galles ha eseguito un passaggio di Stefania, il brano della band ucraina Kalush Orchestra che ha vinto la competizione dello scorso anno.
Non lo so perché ogni persona, ogni idea, ogni canzone scompare dietro l’«immagine» che la rappresenta: è la legge dei media. L’eurovision Song Contest fino a qualche anno fa era considerato la versione canora di Giochi senza frontiere, adesso invece fa tendenza. Specie quest’anno che si è tenuto a Liverpool (terra dei Beatles) che è nel Regno Unito, quindi non più in Europa, ma è come se fosse in Ucraina, il Paese che aveva vinto l’ultima edizione ma, per le ben note ragioni, non è stato in grado di organizzare la manifestazione. Ha altro, di più importante, cui pensare, ce lo hanno ricordato i colori della sua bandiera sparsi ovunque.
La canzone è uno spazio immaginario e, fin da titolo di questa manifestazione, è il nostro sogno dell’europa, sogno tante volte tradito e tuttavia abbastanza forte da unirci in una comunità che si misura in share. L’eccesso di scenografie elettroniche fa sembrare le canzoni un po’ tutte eguali, come se la parte visiva, scenografica, fosse più importante di quella canora. Per usare un’idea di Milan Kundera, a proposito di Europa, ha prevalso «l’estetica kitsch», intendendo con la parola non il cattivo gusto, non la paccottiglia, ma l’atteggiamento di chi vuol piacere a ogni costo e al maggior numero di persone. Se siamo tutti simili, se vagheggiamo di essere una comunità europea o internazionale è perché siamo tutti «aggiornati» (o almeno tentiamo di esserlo) e l’aggiornamento non può avvenire che nel nome dell’accettazione dei moderni luoghi comuni. L’eurovision Song Contest è il futuro del Festival di Sanremo, il giorno in cui deciderà di liberarsi della «schiavitù» del Teatro Ariston (o forse, chissà, questa schiavitù è proprio la sua virtù, la sua unicità). Il pubblico italiano ha potuto contare sul commento di Gabriele Corsi e Mara Maionchi (la nostra principessa del Galles), che ha portato a Mengoni un portafortuna di suo suocero.