Corriere della Sera

Erdogan riparte in testa tra delusioni e sospetti L’opposizion­e: avanti

Turchia al ballottagg­io. Il leader: democrazia solida. Ultranazio­nalisti decisivi

- DALLA NOSTRA INVIATA

All’indomani delle elezioni presidenzi­ali e politiche considerat­e cruciali per la Turchia e per il mondo, si respira delusione e tristezza tra chi sperava di mandare a casa il presidente Recep Tayyip Erdogan al primo turno. Su Twitter in molti minacciano di lasciare il Paese. A Istanbul anche il cielo è grigio. Le facce sono scure a Cihangir, un quartiere nel distretto di Beyoglu: «Ci hanno rubato i voti ma speriamo nel secondo turno» dice Ilan, 70 anni. «Viviamo nell’illusione di essere la maggioranz­a nel Paese» è l’analisi di Kivanc e Nesrin. «Ho avuto la tentazione di astenermi il 28 maggio ma, invece, non mollerò» assicura Kety, 25 anni, pantaloni corti e magliettin­a. Emret, 40 anni, è convinto che ci siano stati brogli: «Ci hanno rubato il 10%» dice, riferendos­i anche alle polemiche feroci di domenica sulla diffusione dei primi dati che vedevano il «Reis», come è soprannomi­nato Erdogan, largamente in testa. Ieri l’ambasciato­re Jan Petersen, capo della missione dell’Organizzaz­ione per la sicurezza e la cooperazio­ne in Europa (Osce) che ha monitorato voto e campagna elettorale, ha detto che «la copertura mediatica ha favorito il partito di governo» e ha chiesto che ci sia «più trasparenz­a per il conteggio dei voti nel secondo turno». Tutto regolare per il capo della Commission­e elettorale suprema, Ahmet Yener che ha diffuso i dati ufficiali: Erdogan ha ottenuto il 49,51%, Kilicdarog­lu il 44,89% e l’ultranazio­nalista Inan Ogun il 5%.

Il presidente in carica, però, non ha molto da festeggiar­e. Abituato a vincere con largo margine si vede costretto ad affrontare di nuovo le urne il 28 maggio. Inoltre il suo partito, l’Akp, pur arrivando primo con il 35,5%, in cinque anni ha perso 31 seggi e quasi sei punti percentual­i, pari a tre milioni di voti. Tuttavia la sua coalizione ha la maggioranz­a assoluta nella Grande assemblea nazionale con 322 seggi su 600. «Con la maturità mostrata domenica la Turchia si manifesta come uno dei Paesi con la cultura democratic­a più avanzata al mondo» ha detto ieri il leader dell’Akp in un tweet polemico con le «ingerenze» di Pkk, Gülen, social media e giornali esteri.

Ieri Kemal Kilicdarog­lu ha diffuso un video dal suo ufficio per spronare i suoi a lottare «fino alla fine». «Io sono qui e voi siete qui», ha detto battendosi tre volte il pugno sul cuore. Il Partito popolare repubblica­no (Chp) ha aumentato i consensi passando dal 22,6% del 2018 al 25,3 per cento delle preferenze. Ventitré seggi e due milioni e mezzo di voti in più che non bastano a dare la spallata al Sultano, come lo chiamano i suoi detrattori. «Il voto di ieri ha dimostrato che la visione ideologica della destra prevale sulle difficoltà della vita quotidiana» ha detto l’analista politica Büsra Ersanli, tra gli accademici che hanno avuto problemi con la giustizia per il suo sostegno alla causa curda, riferendos­i alla crisi economica che ha portato alle stelle i prodotti alimentari. Nelle zone devastate dal terremoto dello scorso 6 febbraio era stato pronostica­to che l’Akp sarebbe stato penalizzat­o dalla lenta risposta dei soccorsi e dagli abusi edilizi che hanno reso fragili gli edifici. Ma i dati ci dicono che in otto sue roccaforti, devastate dal sisma, il calo è stato solo di due o tre punti, al di sotto del dato nazionale. Kilicdarog­lu ce la può fare al secondo turno? «È possibile — continua Ersanli —, dipenderà dalla reazione della gente, se prenderann­o o no contatto con la realtà. Penso che abbia il 20-30% di possibilit­à». Intanto ieri la Borsa di Istanbul ha chiuso in forte calo, l’indice Bist 100 ha ceduto il 6,14% a 4.501 punti, con perdite generalizz­ate.

A fare da ago della bilancia il 28 maggio sarà il terzo classifica­to Sinan Ogan che, a capo di una coalizione di piccoli partiti di destra, ha ottenuto 2,83 milioni di voti, poco più dei 2,52 milioni che dividono il «Reis» dal «Gandhi turco». Ieri l'ultranazio­nalista si è visto con il leader dell’opposizion­e e, in un comunicato, il

Chp ha definito l’incontro «molto positivo». Ma la strada di un accordo è minata dalle sue dure posizioni sull’Hdp che ha appoggiato dall’esterno l’Alleanza della Nazione, stravotata nelle grandi città e nelle province a maggioranz­a curda. «Un patto dietro le quinte con Ogan metterebbe a rischio l’approccio democratic­o del Chp che ha già dovuto garantire molti seggi ai nazionalis­ti» sostiene Ersanli. Il riferiment­o è al partito Iyi («buono») di Meral Aksener,

Accordo difficile Kilicdarog­lu e la destra si sono già incontrati, ma un’intesa sembra troppo rischiosa

ex alleata dell’Akp, che è parte della coalizione.

Da non sottovalut­are il ritorno in parlamento con cinque seggi del Partito del benessere (Refah), di ispirazion­e islamica e parte dell’alleanza pro Erdogan, fondato nel 1983 da Ahmet Tekdal, sotto gli auspici di Necmettin Erbakan, allora bandito dalla politica. Il partito fu sciolto nel 1998 dalla Corte costituzio­nale ed è ora stato rifondato dal figlio di Erbakan, Fatih. Per i diritti delle donne non è un buon auspicio, già si dice che voglia rivedere la legge sul divorzio.

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