Le assenze, la visita in ospedale e un video pieno di misteri Dov’è il dittatore Lukashenko?
Bielorussia, crescono le voci sulla malattia dell’alleato di Putin
Le voci si rincorrono da aprile sui forum dell’opposizione in esilio e tra gli analisti. L’assenza irrituale dall’annuale Cerimonia della Bandiera ha dato loro sostanza: servizi segreti, oppositori, diplomazie e le fonti di stampa più rigorose da ieri parlano apertamente dei mali dell’ultimo dittatore d’Europa. Il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko, 68 anni, è malato? Di più: è grave?
«Tutto può succedere», dunque «stiamo pronti a tornare alla democrazia», ha dichiarato ieri mattina presto la leader dell’opposizione in esilio, Svetlana Tikhanovskaja, rompendo il silenzio; ma anche, ha aggiunto subito, alle possibili interferenze di Mosca se il suo alleato più stretto, il «nonno» di Minsk che il sito dissidente Nexta chiama già «dittator catetere», dovesse venire meno.
Sabato sarebbe stato in ospedale: le auto con cui lui e la sicurezza si spostano hanno fermato il traffico di Minsk per due ore, al tramonto, lungo il fiume Drazda, per fermarsi nel maggiore policlinico pubblico della capitale. Da cui sono uscite, poi, voci di una miocardite infettiva, virali certamente su Telegram dove i gruppi dell’opposizione fibrillano. La notizia della visita e forse di un suo ricovero è stata ripresa ieri pomeriggio dall’autorevole Financial Times, e poi a cascata dai media di tutto il mondo.
Per il resto, Lukashenko non compariva in pubblico dal 9 maggio, quando a Mosca ha presenziato alla parata per il Giorno della Vittoria (ma non al seguente pranzo di gala di Putin) già malfermo sulle gambe, grigio in volto, accompagnato da un autista anche per tratti brevi. Domenica alla Cerimonia della Bandiera — in cui i giovani bielorussi giurano fedeltà, mai mancata in 29 anni che è al potere — ha mandato il premier Roman Golovchenko.
Ieri l’agenzia di stampa bielorussa Belta, altrimenti muta al riguardo come tutte le istituzioni di Minsk, ha diffuso una sua foto e un suo video in divisa, che — classico quando si specula sui mali di un dittatore — anziché tacitare i dubbi li hanno moltiplicati. Nelle immagini di ieri, girate al comando centrale dell'aeronautica, Lukashenko ha una mano bendata; ma a Mosca, alla parata del 9 maggio, era la destra. Ieri era la sinistra. La sua voce, che pure parla di avvenimenti militari del fine settimana e mostra così che il video non è di repertorio, è roca e flebile; il viso sembra coperto di fondotinta. Rispetto al 9 maggio sembra esausto. Soprattutto, molto più magro.
«Sì, abbiamo informazioni sui problemi di salute del dittatore», ha confermato Andriy Yusov, rappresentante della Direzione principale dell’intelligence ucraina alla stampa. «Ma non le divulgheremo. Più interessante per noi è la salute di Putin».
Dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov arriva l’invito ad «attenersi alle informazioni ufficiali», cioè nessuna; il canale Telegram Podyom ha citato il deputato russo Konstantin Zatulin, presidente della commissione Esteri della Duma, secondo cui «Lukashenko semplicemente non si sente molto bene ... e ha bisogno di riposo». E proprio da Mosca, per le teorie del complotto più ardite — altro classico quando si ammala un dittatore — sarebbe stato avvelenato il «nonno», alleato numero uno di Putin ma anche pedina da buttare giù per conquistare facilmente, in mancanza dell’Ucraina, la Bielorussia. «Ci siamo abituati», sorride scettico Dzianis Kuchynski, consigliere di primo
La leader dissidente
Tikhanovskaja: «Siamo pronti a tornare alla democrazia. E alle interferenze di Mosca»
piano di Svetlana Tikhanovskaja. «A novembre è morto il nostro ministro degli Esteri, e già allora c’è stato chi ha incolpato il Cremlino. Ma lo escludiamo. Mosca non avrebbe con chi sostituire Lukashenko. Lui è davvero il loro fedele numero uno».
E se dovesse morire? Tikhanovskaja ha esortato a essere pronti a tutto. «Anche a interferenze dal Cremlino, che tenterebbe di mantenere sotto controllo il Paese e soprattutto i suoi dissidenti. Nell’opposizione», continua Kuchynski, «stiamo lavorando a piani precisi per quando morirà. Liberazione dei prigionieri politici, rientro degli esiliati, elezioni subito. Non sarà difficile: i suoi fedeli agivano nel suo terrore, e se muore non è detto che restino fedeli. Litigheranno, si divideranno. La Russia non gli ha mai creato un successore».