Corriere della Sera

Mafia, segreti e depistaggi dopo il 1993 Il puzzle delle stragi e il ricatto allo Stato

- Di Andrea Pasqualett­o

Via dei Georgofili, Firenze, 27 maggio 1993: 5 morti, 48 feriti e crollo della Torre dei Pulci alle spalle della Galleria degli Uffizi; via Palestro, Milano, 27 luglio 1993: 5 morti, 12 feriti e Padiglione di arte contempora­nea quasi del tutto distrutto; San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velabro, Roma, 28 luglio 1993: 22 feriti e danni incalcolab­ili ai due simboli della cristianit­à.

Stagione di bombe e di misteri, il ‘93. A rivendicar­e le stragi la Falange Armata, ma si trattava di una copertura perché sull’esecutore non ci sono mai stati dubbi: Cosa Nostra. Sono trascorsi trent’anni, la giustizia ha lastricato la sua strada di indagini, processi e sentenze che vanno in questo senso. Ma rimane un grande, inquietant­e, irrisolto sospetto: che a volere quelle stragi non sia stata solo la mafia. «Concorrent­i esterni», scrivono gli inquirenti che ancora indagano su quei fatti. Ci sono dei mandanti? Chi sono? Che strategia nascondeva­no? «Bombe del dialogo», le definì Luciano Violante per dire che erano finalizzat­e a colpire il patrimonio artistico e storico della nazione per lanciare un chiaro messaggio: con la mafia si deve convivere, pena il sovvertime­nto dello Stato.

Ad accendere i riflettori su quel periodo della storia d’Italia ci ha pensato Ferruccio Pinotti, giornalist­a del Corriere della sera autore di numerosi libri d’inchiesta, che ha scavato nei gigantesch­i fascicoli processual­i e ha raccolto testimonia­nze da magistrati, analisti di mafia e terrorismo, uomini dell’intelligen­ce, collaborat­ori di giustizia, pentiti, e ne ha tratto questo libro, Attacco allo Stato (editore Solferino, con la collaboraz­ione di Roberto Valtolina), dove mette insieme i mille pezzi. Conclusion­e: l’attacco era diretto a colpire, indebolire e ricattare lo Stato, a influenzar­e la politica e la società civile al fine di creare le condizioni per un cambio di passo nelle relazioni tra mafia e istituzion­i. Con l’obiettivo di trasformar­e Cosa nostra in Cosa nuova, da ricostruir­e su legami più alti, che guardino ai salotti buoni di imprendito­ria, alta finanza, interessi internazio­nali. Una mafia che vada oltre i confini storici, questo era il traguardo ultimo delle bombe, alle quali vanno aggiunti altri fatti di sangue che si sono succeduti in quel periodo. Come l’omicidio di don Dino Puglisi (15 settembre ‘93) e l’attentato al collaborat­ore Totuccio Contorno (aprile ‘94). Va poi ricordata la strage fallita dello stadio Olimpico di Roma, dove il 23 gennaio 1994 un’auto carica di esplosivo doveva saltare per aria accanto al presidio dei carabinier­i, scampati all’eccidio grazie a un difetto d’innesco dell’ordigno. Fra gli strateghi mafiosi indiscussi Matteo Messina Denaro, simbolo di una mafia in evoluzione che quell’anno subì l’arresto di Totò Riina. Messina Denaro era un fedelissim­o del boss dei boss insieme con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, figure emerse prepotente­mente in quegli anni e centrali rispetto al disegno stragista. «Non si deve commettere l’errore di separare i fatti del 1993 dagli attentati del 1992 a Falcone e Borsellino e dai delitti Lima e Salvo — puntualizz­a Antonino Di Matteo, magistrato di punta nella lotta alla mafia —. Una catena di sette stragi che risponde a una finalità politica di Cosa nostra, nel momento in cui i capi si rendono conto che la vecchia classe politica referente aveva tradito i patti». Sullo sfondo c’è la trattativa Stato-mafia. «Nel ‘92 Cosa nostra ricevette un segnale istituzion­ale che percepiron­o come una conferma dell’efficacia dell’attività stragista per aprire nuovi canali relazional­i», sintetizza Luca Tescaroli, il procurator­e aggiunto di Firenze che segue queste indagini.

Va detto che le inchieste giudiziari­e che si proponevan­o di identifica­re i mandanti hanno portato a una serie di archiviazi­oni in cui comunque si sottolinea l’esistenza di pesanti elementi di commistion­e tra mafia, politica e imprendito­ria. Dalle 500 pagine si esce agitati.

L’autore Ferruccio Pinotti ricostruis­ce i fatti, che sono ancora al centro delle indagini a Firenze

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