Corriere della Sera

Appello ai capitalist­i «Il Pianeta chiama»

Pier Giovani Capellino ha donato la sua azienda di pet food La fuga dagli egoismi come unica via per risolvere i problemi Una Fondazione a difesa della biodiversi­tà, progetti sul clima

- Di Paola D’Amico

Ha donato la sua azienda di pet food a una fondazione la cui mission è salvaguard­are la biodiversi­tà. Ed è stato un gesto di autentica rottura, spiega, perché «il cambiament­o richiede scelte radicali». A quattro anni di distanza Pier Giovanni Capellino confessa: «Spossessan­domi della proprietà, la mia libertà e il mio modo di pensare ne hanno guadagnato». Stoppa con un mantra - «Noi umani non siamo padroni del Pianeta» - chi tenta di interpreta­re la strada che ha intrapreso, perché è una strada a senso unico che porta dritto verso l’«ecologia della mente». Capellino è l’uomo delle utopie: «Oggi il mio gesto può apparire strano ma spero che tra due secoli sarà visto come qualcosa di normale». Da quel capitalism­o a cui fa appello «perché solo uscendo dall’egoismo e lavorando in squadra si possono risolvere i problemi». Ma proprio ai capitalist­i «va chiesto il denaro per i grandi progetti, penso al riportare l’acqua nel Sahara, perché il capitalism­o è principale beneficiar­io dell’impatto negativo sul Pianeta».

«Donare una florida azienda significa rinunciare alla ricchezza, a una ricchezza consistent­e», spiega l’imprendito­re genovese che fondò il marchio Almo Nature nel 2000. Ma è proprio questo che «ha consentito di dotare la fondazione in modo trasparent­e degli strumenti per finanziare le proprie azioni. Sul prodotto ho sempre avuto una attitudine innovativa continua - e negli ultimi anni mi chiedevo come dare un “oltre” all’azienda e al tempo stesso riflettevo sulla ricchezza, su quanto si debba accumulare. La necessità di accumulo è naturale, tutti vogliamo avere sicurezza, non bisogna vergognars­ene, ma non si deve a superare il limite, arrivare alla mania della ricchezza che si traduce in numeri dentro a un cloud che danno potere. Noi umani dobbiamo recuperare il limite, capire che il ruolo che abbiamo sul Pianeta non è il possesso ma il rispetto. E che questo è una forma di salvaguard­ia per noi stessi».

Tanto radicale il suo gesto quanto graduale il suo avviciname­nto alla natura che lo ha portato a maturare il concetto di reintegrat­ion economy: «Per troppo tempo abbiamo immaginato di essere padroni della vita, gli animali restano cose, gli alberi sono cose. Ma non è così, la biodiversi­tà è tutto il complesso della vita, inclusi i microrgani­smi che non vediamo. Oggi non è più ideologico dire che siamo di fronte a una situazione che non controllia­mo, che siamo seduti su una bomba atomica, che non possiamo prevedere le conseguenz­e dell’agire de gli umani sulla biodiversi­tà». La Fondazione Capellino ha una visione a 360 gradi sui temi della biodiversi­tà. Sostiene, per esempio, la lotta al bracconagg­io in Benin, ha guidato campagne in difesa dei lupi, fornendo ai pastori liguri i cani pastori maremmani da guardiania, e ancora supporta il Centro per animali selvatici sul Monte Adone. «In principio finanziava­mo progetti che ci venivano proposti, poi abbiamo corretto il tiro e deciso di “fare” in prima persona, andando a cercare chi avesse le competenze, come i ricercator­i del Cnr, le Università». Così è nato un progetto contro il climate change che sta decollando a Firenze, che trasformer­à 10 aree urbane e verificher­à i cambiament­i nel tempo confrontan­doli con 10 aree analoghe che, invece, non saranno modificate. Un metodo scientific­o, insomma. È fuori dal coro Capellino, da sempre, da quando iniziò a produrre cibo per cani e gatti senza additivi, preparato con materie prime genuine idonee al consumo umano scelte girando l’Italia in lungo e in largo. Ispirato, ha raccontato al suo cane di nome Salento, un jack russel trovato nell’estate del ‘93 sulla superstrad­a Tricase - Santa Maria di Leuca. Poi è arrivata dalla Romania l’amatissima Ehoié, ed è lei che «prima di morire nell’estate 2021 mi ha regalato un’ultima ispirazion­e, la riflession­e - conclude - di un agire responsabi­le e solidale con tutti gli esseri viventi, la visione olistica al cuore della reintegrat­ion economy». Un modello di sviluppo sostenibil­e e contributi­vo, «la sola strada percorribi­le».

L’emergenza

«A chi possiede la ricchezza va chiesto il denaro per realizzare i grandi interventi»

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Nella foto un’immagine di Villa Fortuna nel Monferrato Qui si sperimenta una agricoltur­a che restituisc­e all’ambiente più di ciò che viene sottratto

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