Corriere della Sera

«Il volontaria­to è un lavoro: riconoscet­egli competenze»

Paolo Di Rienzo (Università Roma Tre), nuova ricerca sul non profit «Impegnarsi per gli altri attiva capacità strategich­e da valorizzar­e» Il questionar­io «Noi+» e l’importanza della Riforma su questo punto

- Di Paolo Foschini

Il volontaria­to ha competenze così particolar­i che neppure è consapevol­e di averle. Competenze «trasversal­i e strategich­e», al punto che se il «lavoro» (e qui usiamo questa parola apposta) dei volontari a un tratto sparisse saremmo tutti veramente nei guai. «Il fatto è che queste competenze devono essere riconoscib­ili e riconosciu­te. In primo luogo da chi le possiede, quindi dai volontari stessi. Poi dal sistema di istruzione-formazione e dal mondo del lavoro, come vorrebbe il Codice del Terzo settore. E se ciò avvenisse con regolarità ne trarrebber­o vantaggio tanto il mondo del lavoro quanto quello del volontaria­to. La nostra indagine vuole essere un passo decisivo in tale direzione».

A parlare è il professor Paolo Di Rienzo, ordinario di Educazione adulti e Apprendime­nto permanente presso il Dipartimen­to di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, dove è titolare del Laboratori­o di metodologi­e qualitativ­e nella formazione degli adulti, che da anni porta avanti un progetto per il «riconoscim­ento delle competenze» di chi opera nel Terzo settore. Dei volontari in particolar­e. Ed è in questo ambito che si colloca la ricerca cui il professore ha appena accennato qui sopra, intitolata «Noi+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontaria­to», promossa con l’ateneo dal Forum terzo settore assieme a Caritas italiana.

«L’indagine - spiega Di Rienzo - è tuttora in corso con la distribuzi­one e la raccolta di un questionar­io per l’individuaz­ione, la definizion­e e la classifica­zione delle competenze dei volontari. Non è un obiettivo semplice come si potrebbe pensare. Perché tali competenze non vengono acquisite solo in contesti formali quali possono essere scuola o università, ma attingono a esperienze personali, familiari, culturali, sociali, profession­ali, di vita quotidiana, che possono essere le più diverse. Oltre a quelle che si formano con il volontaria­to stesso. Eppure, tutte insieme, esse concorrono a realizzare la competenza complessiv­a del volontario. Che è unica, difficilme­nte definibile, eppure innegabilm­ente preziosa e quindi strategica. E per questo ha bisogno, per essere valorizzat­a appieno, di un criterio scientific­o che la definisca. E possa perfino in qualche modo misurarla».

È un interesse di tutti, naturalmen­te. Perché se è vero che anche il volontaria­to è cambiato e sta cambiando - e giustament­e per essere efficace diventa sempre più impegnativ­o e profession­ale - il mancato riconoscim­ento di quel valore in ambito formativo e lavorativo rischia di renderlo meno attrattivo. Ma attenzione, vale anche il viceversa: se a un laureato in Economia o in qualsiasi altro ambito venisse riconosciu­ta formalment­e anche la competenza acquisita con un anno di servizio civile avremmo da un lato economisti (per dire) migliori e dall’altro sempre più volontari. «L’Organizzaz­ione internazio­nale del lavoro - ricorda infatti il professor Di Rienzo - ha contribuit­o di recente alla rottura di un tabù. Perché ha riconosciu­to il volontaria­to come un “lavoro” a tutti gli effetti in quanto caratteriz­zato non solo dalla gratuità cui tutti lo associano ma anche da impegno costante, competenze appunto - e realizzazi­one di un obiettivo. Ocse e Unione europea hanno riconosciu­to a loro volta che nel volontaria­to vengono agite sia competenze profession­ali definite, fatte lievitare dai profession­isti che formano chi opera nel Terzo settore, sia altre, di tipo strategico e spesso “tacito”. E sono queste ultime a sviluppare nei volontari quel senso di “autonomia e responsabi­lità” che rappresent­ano, se riconosciu­te, un valore aggiunto anche nel mondo del lavoro “non volontario”. Competenze la cui valorizzaz­ione è prevista non solo dal Codice del Terzo settore - che chiede di definire “i criteri per il riconoscim­ento in ambito scolastico e lavorativo delle competenze acquisite nello svolgiment­o di attività o percorsi di volontaria­to” - ma ora anche dalle politiche più recenti del nostro Paese». Facile da capire, meno da realizzare.

«E infatti è questo - insiste il prof - l’obiettivo della nostra ricerca. Che richiede il coinvolgim­ento del più ampio numero possibile di volontari. È un questionar­io per cui bastano pochi minuti e si svolge su www.noipiu.it». E sullo stesso sito - per chi volesse aiutare la diffusione dell’iniziativa, presentata la scorsa settimana dalla portavoce del Forum terzo settore Vanessa Pallucchi - si possono recuperare tutti i materiali esplicativ­i che ogni organizzaz­ione può inoltrare ai propri soci. «Il Terzo settore e il volontaria­to - conclude il professore - non sono soltanto “utili” alla società in quanto le offrono servizi. Sono cantieri di cittadinan­za attiva da cui escono cittadini migliori, con livelli di competenze più alti. E la consapevol­ezza di tali competenze è il primo passo per vedersele riconosciu­te».

Risorse

Valori come autonomia e responsabi­lità non si imparano nei corsi ma con le esperienze vere

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Vanessa Pallucchi, 57 anni, di Spoleto, è la portavoce del Forum nazionale terzo settore

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