Pnrr, 2 appalti su 3 dimenticano le pari opportunità I ritardi sui giovani
Piccole gare: il 99% sono in deroga
Tutto sembrava perfetto. Tutto è rimasto perfettamente sulla carta. Le leggi sono cambiate, l’Italia no: donne e giovani restano al loro posto, in gran parte fuori dal mondo del lavoro anche nei nuovi progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Non doveva andare così, in teoria, perché il Piano è nato a Bruxelles proprio per affrontare i mali più antichi. L’Italia per esempio ha il tasso di occupazione femminile più basso dell’Unione europea e la quota più alta di giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione: squilibri così evidenti che rimediarli è uno degli obiettivi ufficiali del Recovery. Il lancio degli appalti è stato preceduto da una legge, del novembre 2021, che obbliga le imprese candidate ai bandi ad assumere almeno il 30% di donne o di giovani per poter eseguire i contratti. Quanto alla parità di genere, è diventata un «traguardo» ufficiale alla «Missione 5» del Pnrr:
«Entrata in vigore del sistema di certificazione della parità di genere entro dicembre 2022». Così la legge è stata approvata per tempo fra le 55 riforme della seconda metà dell’anno scorso e ora le imprese che praticano la parità di genere avranno, in teoria, punteggi più alti per concorrere alle gare del Piano.
Ma i documenti concordati con Bruxelles e gli umori profondi della società abitano, per ora, in galassie diverse. L’analisi dei dati su oltre 34 mila bandi lanciati per la realizzazione del Pnrr mostra che i vincoli all’assunzione di donne e giovani, nella realtà, vengono richiesti dagli appaltatori solo nel 29% dei casi. Quanto alla «premialità» nell’accesso ai bandi del Pnrr per le imprese dotate di «certificazione di parità di genere», nel 95% dei casi essa non è prevista (il 99% nei bandi minori). Così il Piano fissa l’obiettivo di certificare sul pari trattamento fra donne e uomini almeno mille imprese entro tre anni, ma quel diploma rischia di rivelarsi inutile.
Barbara Martini, docente di Modelli statistici per l’economia all’Università Tor Vergata
di Roma, ha passato al setaccio circa 34 mila bandi sulle banche dati che l’Autorità anticorruzione ha condiviso con Open Polis. Ne emerge un quadro sconcertante, anche perché del tutto legale. Né le stazioni appaltanti, né le imprese appaltatrici stanno violando la legge nell’ignorare qualunque requisito di pari opportunità a favore di giovani e donne. È vero ad esempio che la legge 108 del 2021, approvata nell’estate di quell’anno per lanciare il Pnrr, prevede la cosidetta «condizionalità»: l’ente che scrive un bando per realizzare un progetto del Pnrr deve indicare che, per il vincitore, l’impegno ad assumere un 30% di donne e giovani è «un requisito necessario». Ma la stessa legge concede deroghe per ragioni così vaghe e ambigue («obiettivi di socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio») che gli appaltatori del Pnrr si sono infilati in massa nella falla. E l’eccezione in Italia è diventata la regola.
Nelle gare di valore fino 744 mila euro, appena il 25% delle stazioni appaltanti mantengono il requisito a favore di donne e giovani. E persino nelle gare più importanti esso resiste solo in poco più di metà dei bandi, anche quando si tratta di fornire servizi professionali e non di garantire lavori pesanti nei cantieri. Fra gli appaltatori che ignorano le condizioni anche nomi famosi: Zètema (una società del Comune di Roma per il settore cultura), Tim su alcuni servizi di progettazione e direzione lavori o Trenitalia su un appalto da sessanta milioni di euro per la fornitura di dieci treni. «Sicuramente in alcuni settori le donne sono più difficili da trovare — concede Martiti —. Ma a Ingegneria gestionale nella mia università sono circa metà del corpo studentesco. E i giovani ingegneri non mancano certo». Non prima che se ne vadano all’estero, per lo meno.
Occupazione
La parità di genere è un «traguardo» ufficiale della «Missione 5» del Pnrr