Due anime in pena indagano insieme su un diario di guerra
Èstraordinario quanto i nostri nonni scrivessero nelle trincee della Grande Guerra. In un Paese di analfabeti, sono rimasti diari di grande intensità umana. Proprio le pagine mancanti del diario di un ufficialetto fanno da filo conduttore al nuovo, avvincente romanzo di Giovanni Grasso, Il segreto del tenente Giardina (Rizzoli), che esce oggi e sarà presentato giovedì al Salone del Libro di Torino. A differenza dei due romanzi precedenti — Il caso Kaufmann e Icaro, il volo su Roma —, basati sullo studio di documenti di vicende storiche realmente accadute, questa volta Grasso preferisce un’ambientazione contemporanea, seguendo le tracce di due spiriti irrequieti: quello di Luce Di Giovanni, giovane e decisa architetta che si è fatta da sé dopo una infanzia di solitudine e stenti, e quella di Marco Grillo, giornalista solitario, scanzonato e malinconico, che vive nella vecchia casa romana, immerso nei ricordi, a volte dolorosi, a volte esilaranti, di una numerosa ma praticamente estinta famiglia di origine siciliana.
Luce, che lavora in un prestigioso studio di architettura a Parigi, torna alle porte di Roma per il funerale della nonna, con cui ha vissuto, insieme alla gemella, per lunghi anni, dopo la morte della madre e il secondo matrimonio del padre con una donna impossibile. Nel testamento la nonna le ha implorato di rintracciare la tomba di suo padre, Antonio, fante della Prima guerra mondiale, caduto presumibilmente nell’agosto del 1916 nelle tante e infruttuose battaglie per la presa di Cima Bocche (Dolomiti di Fassa), e di cui si è persa ogni traccia. Il grande desiderio della nonna è che Luce porti un fiore sulla tomba ignota del bisnonno.
L’unico indizio in mano alla giovane donna è la lettera con cui il tenente di compagnia, Gaetano Giardina, annuncia alla famiglia la morte da eroe del fante Antonio. Luce riesce a rintracciare il nipote del tenente Giardina: è Marco, che conserva gelosamente il diario di guerra del nonno. I due scopriranno che alcune pagine del manoscritto sono però misteriosamente sparite: e sono proprio quelle che si riferiscono ai giorni del 1916 in cui Antonio potrebbe essere caduto. La storia, da questo punto in poi, si dipana come in un giallo, con diversi colpi di scena. Un giallo storico-familiare che troverà la sua soluzione solo dopo un viaggio esistenziale tra la Sicilia e le Dolomiti. Una sorta di odissea moderna, popolata da caratteri italiani: dalla coraggiosa procuratrice antimafia all’eccentrica prozia, dal frate impietoso al collezionista di reperti bellici. Se Luce, alla fine del viaggio, scoprirà finalmente quale sorte sia toccata al bisnonno, Marco apprenderà, non senza dolore, il tassello mancante nella storia dei suoi genitori e, in particolare, nel drammatico suicidio di suo padre, afflitto fin da bambino da gravi turbe psichiche.
La forma del romanzo si sviluppa attraverso un originale espediente narrativo: l’autore alterna, nei diversi capitoli, pagine del diario di guerra del tenente con le vicende di Luce e Marco. Due storie su piani diversi — storico, temporale, di contesto — che si allineeranno via via fino a congiungersi e sovrapporsi.
Nella parte dedicata al memoriale del tenente vengono descritte con crudo realismo le durissime condizioni di vita dei soldati italiani durante la Grande Guerra: morti, sangue, fatica, fango, orribili mutilazioni, disciplina ferrea e spietata. Tra generali senza cuore, ufficiali bonari, volontari fanatici, soldati ignari ma coraggiosi e votati al sacrificio, spiccano per senso di umanità le figure del tenente Giardina, intellettuale sui generis, astronomo dilettante, e del fante Antonio, analfabeta ma dotato di una rara capacità di pensiero: entrambi convinti della necessità di far sopravvivere, pur tra l’odio, la paura e la violenza, un barlume di umana pietà.
Tra i due si sviluppa un rapporto di rispetto e di profonda amicizia, che sfocerà in un finale del tutto sorprendente. Sullo sfondo, la temibile e inespugnabile Cima Bocche, una brulla piramide di roccia nera sopra il Passo San Pellegrino, alle cui pendici si sono dissanguate, inutilmente, le vite di centinaia di giovani italiani. Quasi un simbolo, una metafora pietrificata degli orrori senza senso e senza speranza della guerra.
Nelle parti dedicate alle vicende contemporanee sono invece tratteggiati, con vivacità e profondità, due vite e due caratteri distanti, se non opposti. Lo sforzo di Luce — materialista, «concreta», sfrontata e venata persino da un filo di opportunismo — è tutto proteso a conquistare lo spazio che crede di meritare nel mondo. Cattolico «immaturo», per sua stessa ammissione, Marco convive con i fantasmi della propria storia familiare, sfumandoli in un continuo esercizio di ironia e autoironia, capace di avvicendare fulminanti battute a ragionamenti filosofici. Luce e Marco sono due anime in pena, destinate a confliggere, a litigare, a battibeccare, ma — come spesso capita agli opposti — ad attirarsi fatalmente.
I dialoghi tra il tenente Giardina e il fante Antonio e quelli tra Luce e Marco, alternando il registro comico e quello drammatico, lambiscono — fra le trincee innevate, una Roma frenetica, una Sicilia surreale e la quiete magica delle Dolomiti — alcune tra le antinomie irrisolte dell’uomo dall’origine dei tempi: la vita e la morte, la fede e il dubbio, l’equilibrio e la pazzia, la legge e la morale, il dovere e il senso di umanità, l’amore e la guerra. Il mistero del tenente Giardina è, in definitiva, un romanzo sul valore salvifico della memoria, come capacità di provare compassione, e di restituire senso e dignità ai piccoli protagonisti dimenticati della grande storia così come agli individui che si muovono spaesati nella giungla dei rapporti contemporanei alla perenne ricerca di sé.