Corriere della Sera

Flop alle urne e temi «scippati» dal Pd Perché Conte ora deve cambiare i piani

Il leader M5S puntava alla guida dell’opposizion­e. L’arrivo di Schlein ha ribaltato lo schema

- di Tommaso Labate

«Diciamo che al momento abbiamo comunque la guerra come tema nostro», dicono a denti stretti e sottovoce nel giro dei pochissimi parlamenta­ri ammessi al confronto con Giuseppe Conte, ammettendo implicitam­ente come uno via l’altro tutti gli altri gigantesch­i dossier un tempo appannaggi­o del solo Movimento Cinque Stelle siano scivolati per inerzia — «e speriamo solo momentanea­mente» — sulla scrivania degli addetti alla comunicazi­one di Elly Schlein. Già, perché col Pd ancoratosi più a sinistra dopo le primarie di febbraio, che hanno promosso alla segreteria l’outsider rispetto al favorito Stefano Bonaccini, il grosso dell’opposizion­e lo maneggiano al Nazareno: dalla disfida sul Pnrr alla

giustizia, dalla voce grossa contro le riforme sognate dal governo al cantiere aperto della Rai (il rappresent­ante in cda del M5S s’è astenuto nella votazione sul nuovo corso griffato Roberto Sergio, quella del Pd ha votato contro), passando persino per l’ambiente, dove per vanificare il gioco di prestigio di Conte sul termovalor­izzatore di Roma è bastata una mezza alzata di spalle della segretaria («Era una decisione già presa in precedenza»).

Resta il tema della guerra, anzi del «no alla guerra», come elemento di rottura. Depauperat­o certo dei presagi sulle ricadute in casa nostra, che alla fine si sono rivelati molto meno oscuri del previso, con quel bouquet di maledizion­i fatte in casa fermatesi sull’uscio di stanze che non hanno dovuto abbassare più di tanto il riscaldame­nto o l’aria condiziona­ta; ma «arricchito», si fa per dire, di una compagnia di giro «pacifista» che comunque non porta acqua al mulino elettorale dei Cinque Stelle, come ha dimostrato tra l’altro il bottino assai scarno delle ultime elezioni amministra­tive.

Doveva iniziare in un altro modo, nella testa di Giuseppe Conte, questo 2023. E dire che le condizioni per lo scacco matto al Pd, nello schemino tratteggia­to a penna dall’ex presidente del Consiglio nel momento in cui premeva (con Salvini e Berlusconi) il tasto off sull’esperienza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, sembravano esserci tutte. Negare qualsiasi alleanza, fare opposizion­e dura e pura, sperare nel Pd più spostato al centro e quindi pregustare il jackpot del sorpasso definitivo sul Nazareno prima nei sondaggi e poi alle Europee del 2024. Quindi dopo, solo dopo, costringer­e il Pd a una resa senza condizioni in vista delle Politiche, con un remake tutto italiano del film francese sull’ascesa della sinistra di Mélenchon e il tracollo dei socialisti.

A conti fatti, la storia sta dicendo altro. Dal «fortissimo punto di riferiment­o di tutte le forze progressis­te» — come disse di Conte Nicola Zingaretti in una frase rimasta appicciata alle scarpe dell’allora segretario del Pd come il più ostico dei chewing-gum calpestati per sbaglio — sembrano scomparsi il fortissimo, le forze, il progressis­mo; ed è rimasto, al momento, qualcosa di meno di un punto fermo e di più di un puntino. E ci sono effetti collateral­i di questa parabola discendent­e che rasentano il paradossal­e, come per esempio nel wrestling a colpi di oratoria contro Matteo Renzi: l’uno dice dell’altro che potrebbe fare la stampella del governo Meloni in caso di crisi del centrodest­ra, entrambi rimangono indiziati senza ulteriori prove a carico, col Pd della Schlein che incassa quasi da monopolist­a i dividendi nei sondaggi dell’attività di opposizion­e.

Certo, come ebbe a riconoscer­e in privato anche Silvio Berlusconi due anni fa, «Conte

Il nodo «guerra» Davanti alla concorrenz­a dei dem nel M5S si dice: ci resta il tema della guerra

sa essere camaleonti­co, è bravo e non bisogna sottovalut­arlo». Aveva abolito la povertà e poi l’ha riscoperta, era stato fatto fuori da Grillo e ha finito per farlo fuori lui, era finito sotto il tacco di Di Maio che poi s’è scisso, sotto quello di Di Battista che non è mai rientrato, sotto quello di Draghi che poi è andato via, sperimenta­ndo adesso quanto sia dura la vita di chi ha avversari interni e nemici esterni ma impossibil­e quella di chi non ha né gli uni né gli altri; ha messo, tolto e rimesso e ritolto la pochette ma la maledizion­e dell’armocromis­ta della politica ha finito per metterlo all’angolo, almeno per adesso. «Diciamo che ci rimane il tema della guerra», certo. Il resto, prima che trovarlo, bisogna cercarlo. Ed è molto facile solo a dirsi, per ora.

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Ex premier Giuseppe Conte, 58 anni, ex presidente del Consiglio, guida il M5S

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