Rinnovato l’accordo sul grano Budapest: blocchiamo i fondi a Kiev
L’intesa sarà valida fino al 18 luglio. E l’inviato di pace cinese incontra Kuleba
L’accordo sul grano tiene. Ieri Russia e Ucraina lo hanno rinnovato per altri due mesi, fino al 18 luglio. È l’unica intesa rimasta in piedi tra i due Paesi in guerra: le navi che trasportano cereali potranno continuare a salpare da Odessa e da altri due porti ucraini sul Mar Nero. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, dopo aver condotto una faticosa mediazione insieme con l’Onu, è stato il primo a dare la «buona notizia». Il compromesso, però, appare fragile.
Da Kiev il ministro delle Infrastrutture, Oleksandr Kubrakov ha ringraziato il governo di Ankara e le Nazioni Unite, sollecitandoli «a fare di più per far funzionare efficacemente l’iniziativa, eliminando i problemi che la Russia sta creando da diversi mesi». Gli ucraini accusano i russi di rallentare il transito dei cargo, «usando il cibo come arma di ricatto». Da Mosca ha replicato la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: «il compromesso non ha tenuto conto delle nostre obiezioni che andranno affrontata al più presto». I russi insistono: vanno rimosse le sanzioni sui servizi finanziari e assicurativi che ostacolano l’esportazione dei loro fertilizzanti. In ogni caso, pur con tutti i suoi limiti, il via libera sgombera il campo dal pericolo di un’emergenza alimentare per almeno due mesi.
Per il resto il quadro politico-diplomatico resta fosco. C’era molta attesa per la visita dell’inviato cinese Li Hui a Kiev. Il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha fatto sapere «di aver informato dettagliatamente il rappresentante della Repubblica popolare cinese che l’Ucraina non accetterà proposte che prevedano la perdita di territori». Come dire: non ci sono le condizioni per trattare un cessate il fuoco che consenta ai russi di restare nelle regioni occupate. È la stessa risposta che Volodymyr Zelensky ha dato a papa Francesco, il 13 maggio.
C’è agitazione anche nel fronte occidentale. L’Ungheria minaccia di bloccare l’adozione dell’undicesimo pacchetto di sanzioni europee contro la Russia, nonché lo stanziamento di altri 500 milioni di euro previsti dal «Fondo europeo per la pace». Motivo? Lo ha spiegato Peter Szijjartó, ministro degli Esteri: «L’Ucraina ha inserito la Otp (la banca più importante del Paese, ndr) nella lista dei sostenitori della guerra. Finché non la tolgono, noi non parteciperemo alle decisioni». Il governo guidato da Viktor Orban appare isolato, ma sta sfruttando al massimo il potere di veto previsto dalle norme Ue. Lo stesso Szijjartó ha definito «insensate» le sanzioni allo studio della commissione di Bruxelles, perché ostacolano la «cooperazione tra Europa e Cina».
Infine la questione degli F16, gli aerei da combattimento chiesti da Zelensky. Martedì 16 maggio, il premier britannico Rishi Sunak e quello olandese Mark Rutte avevano annunciato di voler costituire un blocco per fornire i caccia all’Ucraina. Ieri, da Londra, il ministro della Difesa ha frenato: «Spetta a Joe Biden decidere», poiché i jet sono fabbricati negli Stati Uniti.