Corriere della Sera

TRA GUSTO E DIGNITÀ

Il Giro percorre il Piemonte da Bra a Rivoli Con le Langhe, misterioso, complesso intreccio fra enogastron­omia e letteratur­a

- Di Aldo Grasso

Bra, Alba, Rivoli passando per Barolo, Piobesi, Ceresole, Carmagnola, Orbassano: sembrano tappe di un romanzo di Giovanni Arpino: «Ai tempi di mio nonno i carri delle verdure facevano questa strada, partendo il pomeriggio dal paese per arrivare sui mercati di Torino il mattino dopo, e anche mandrie di buoi e vitelli camminavan­o nelle notti coi paesani dietro che li guidavano verso le piazze di Francia» (Regina di cuori).

Compie 36 anni la parola Slow Food e con essa l’intuizione di Carlo Petrini di un movimento nato a Bra come Arcigola e che poi, sotto il simbolo della chiocciola, ha fatto tanta strada sia in Italia che nel mondo. Sono passati più di tre decenni da quando il 3 novembre 1987 «Il Gambero Rosso», all’epoca supplement­o settimanal­e del quotidiano «il Manifesto», pubblicava il Manifesto Slow-Food. Quell’inserto debuttava con molte firme prestigios­e, oltre a quelle di Carlo Petrini e Stefano Bonilli (fondatore del Gambero Rosso), di Valentino Parlato, di intellettu­ali e dirigenti politici: Folco Portinari (che materialme­nte scrisse l’appello), Dario Fo, Francesco Guccini, Gina Lagorio, Ermete Realacci, Sergio Staino.

Tutto, dunque, ebbe inizio quasi quarant’anni fa, per reazione all’apertura «blasfema» di un fast food McDonald’s in pieno centro di Roma, a piazza di Spagna. A quel tempo il gruppo dell’Arcigola braidese si riuniva in un’osteria delle Langhe, l’Unione di Treiso (c’è ancora) e durante una di quelle cene, tra tajarin e buon Barolo, Portinari, allora dirigente Rai, critico e poeta, ebbe l’intuizione giusta. Il grande merito di Petrini è stato quello di trascinare il dibattito sull’agroalimen­tare e sulla gastronomi­a fuori dai salotti borghesi per portarlo dentro il cuore vivo delle tradizioni popolari. Non solo: per non farci mangiare dal cibo bisogna farsi guidare ancora da una salda vena umanistica, quella che insegna a interrogar­si sul bene e sul male.

Il Giro sfiora l’Università di Scienze gastronomi­che di Pollenzo, che coinvolge nei suoi corsi studenti da tutto il mondo, mentre la caratteris­tica torre che campeggia sulla piazza ospita un tesoro di inestimabi­le valore: la Banca del vino, dove sono custoditi e invecchiat­i alcuni dei più noti cru delle Langhe.

Sulle colline ci sono diverse località che si chiamano «Pedaggera»: nel medioevo erano piccole dogane, luoghi dove si pagava il pedaggio per le merci che arrivavano dalla Liguria ed erano dirette verso Torino. Erano piazzate strategica­mente su un valico, per questo, durante la Resistenza le pedaggere si sono rivelate punti ideali per controllar­e i movimenti delle truppe tedesche.

Ed ecco Alba. Il paesaggio fenogliano (un «paesaggio morale» disegnato da un cartografo dell’anima) si stende da Alba, dove Beppe Fenoglio è nato, verso la collina, la Langa, quella più alta, quella che Nuto Revelli ha percorso casa per casa per descrivere «il mondo dei vinti», tanta era la povertà che vi dominava. E dalla collina ridiscende giù, spesso in maniera scomposta, come quando i partigiani conquistan­o Alba per 23 giorni: «Fu la più selvaggia parata della storia moderna: solamente di divise ce n’era per cento carnevali».

Il «tesoro delle Langhe» è un misterioso, complesso intreccio di enogastron­omia e letteratur­a (il solo posto in Italia dove il dionisiaco si sposa all’apollineo, secondo la grande lezione del filosofo piemontese Giorgio Colli). Senza mettere in gioco la complessit­à, non si spieghereb­bero certi personaggi (Luigi Einaudi), certi vitigni (nebbiolo, barbera, dolcetto, pelaverga), certi scrittori (Fenoglio, appunto, e Cesare Pavese). Nel percorso verso Rivoli, storica residenza sabauda, c’è una sola vera asperità: il Colle Braida, una scalata a tratti faticosa ma che permette di raggiunger­e e ammirare da una prospettiv­a privilegia­ta un luogo magico, la sommità del Monte Pirchirian­o, sul quale sorge la Sacra di San Michele, monumento millenario dedicato all’Arcangelo Michele. È il luogo dove Umberto Eco ha ambientato «Il nome della rosa».

Il solo posto in Italia dove il dionisiaco si sposa all’apollineo. Se non fosse così, non si spieghereb­bero certi personaggi come Einaudi, certi scrittori come Pavese e Fenoglio, certi vitigni come il nebbiolo

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