Ultima fermata Seul
Gucci nella capitale sudcoreana porta una collezione mix fra Oriente e Occidente. Aspettando la svolta
Èfinita con un gioco di luci nell’immenso cortile del Gyeongbokgung Palace, con la musica di Jung Jae-il (Parasite e Squid Game) che saliva su verso il cielo blu notte, sopra ai reali tetti a pagoda. Gli abiti avrebbero potuto perdersi in quella scenografia così incredibile, loro così piccoli. E invece la sfilata di Gucci a Seul ha vinto sulla legge di gravità, quella che ti fa tenere i piedi per terra e credere che i sogni facciano parte di un altro mondo. E pazienza se al risveglio la realtà è sempre un’altra.
In gioco c’era tanto, due poste soprattutto: mercato e reputazione. L’Oriente, troppo importante in queste momento. La scelta di Seul, dunque, non Tokyo, non Pechino. Perché? Nessuno ufficialmente risponde. Non è ancora tempo di risposte. Ma ci sono i fatti: è indubbio che la Corea oggi in fatto di business, dall’auto alla techno, se la veda con le sorelle maggiori. Idem per cultura e creatività (dall’arte al cinema alla K-pop). Dunque, scelta furba: omaggiare un Paese dal grande potere d’acquisto e con parecchia attitudine per la moda.
Tema reputazione, forse il più spinoso. Perché mettersi in gioco muovendo una macchina organizzativa così sapendo che da settembre la musica cambierà?
Cioè Sabato De Sarno, il direttore creativo che ha preso il posto di Alessandro Michele, presenterà la sua prima collezione, presumibilmente raccontando qualcosa di nuovo, e mentre lui parlerà con i suoi vestiti, in boutique arriveranno quelli che hanno sfilato qui a Seul. Quindi, la logica? Non c’è ed è come sopra: nessuna risposta ufficiale. Dunque la scelta di esserci ha qualcosa a che fare con il coraggio. Ed è vero che il team Gucci ci ha messo anima e corpo e ha affrontato a testa alta l’universo mondo che era lì pronto a cercare di capire come si possa mandare avanti un brand senza guida. A fine sfilata, non è però uscito nessuno a respirare la brezza calda di una notte coreana che sapeva già d’estate.
Fuori un traffico da metropoli sconfinata, le manifestazioni di protesta contro il presidente in uscita e, ovunque, le lanterne colorate per celebrare l’arrivo (imminente) del compleanno del Buddha. Dentro alle mura imperiali una pace e un silenzio surreali. È stato in quel mondo sospeso che lo show ha fatto irruzione con la musica del compositore sudcoreano Jung Jae-il, le luci e gli abiti. Il mix servito è stato subito chiaro: la connessione dei guardaroba di Occidente ed Oriente. Senza regole e con parecchie concessioni. Quotidiano e straordinario, sporty e formale, street e sofisticato. Tutto e niente. Un punto di vista che erano tanti. Non poteva essere altrimenti per l’ultima traversata senza comandante.
Il nylon e il tessuto scuba, il cotone e le paillettes, il gabardine e il tulle. Un po’ rapper e surfista e skater e collegiale e club e segreteria e ballerina e analista finanziaria. Tom Ford nell’aria e Alessandro Michele nella brezza. Gli anni Novanta vincenti anche solo per certi ritorni: c’era Karen Elson che aveva persino la stessa frangetta di allora.
E poi c’erano idealmente le nuove generazioni di Seul: la cultura street, i club ma anche il college e il lavoro. Un po’ come nei quartieri in città: la zona degli artisti, dei professionisti, degli analisti o (lungo il fiume Han) dei surfisti. La collezione è un guardaroba trasversale. Cenni di tendenze che sono state, e di capi che tutti vorrebbero avere e forse hanno anche.
Non c’è la presunzione di aver scritto un paragrafo fondamentale della moda, questo no. Ma la consapevolezza di aver fatto un lavoro onesto e di tenuta e cassetta. Aspettando Sabato De Sarno. Naturalmente. Con il bit dell’ormai fedelissimo Asap Rocky che ha chiuso la serata di Seul addirittura con un live.
” Senza guida
Non esce nessuno a fine sfilata, ma a settembre l’aria cambierà con l’arrivo di Sabato De Sarno