«I miei mosaici come quadri di Picasso»
Il mondo del decoratore parigino Vincent Darré: interni e accessori onirici, per arredare come un set da cinema
La sensazione è quella di un grande acquerello, che raffigura una cariatide collocata tra le colonne sotto un frontone classicheggiante: un disegno che sembra tratteggiato a matita, con le sfumature a renderlo tridimensionale. Invece, guardandolo bene, si scopre che è fatto a mosaico. «Nemmeno io avrei immaginato che sarebbe stato possibile ricreare con delle tessere in pasta di vetro un motivo come questo», esordisce Vincent Darré, interior designer, autore della sua prima collezione per Bisazza (appena lanciata durante la Design week), in cui il suo tratto sognante che rende tributo all’arte, tra classicismo e surrealismo, è reso alla perfezione. «Conoscevo Bisazza per il suo negozio parigino. Ho voluto incontrarli, e ho scoperto le loro collaborazioni con artisti e designer, e quanto sappiano sperimentare per tradurre un materiale classico in una chiave contemporanea», racconta. «Mi sono entusiasmato: non avevo mai progettato con il mosaico, ma ho voluto lanciarmi».
Vincent Darré da anni firma una linea di arredi e oggetti ed è notissimo per i suoi interior che spaziano dalle case private ai ristoranti, agli hotel, eppure questa collaborazione per lui è stata un’esperienza inaspettata: »Sono abituato a confrontarmi con i maestri dei mestieri d’arte, ma visitando a Vicenza la produzione e la loro Fondazione ho scoperto un mondo: tutti quei colori e le sfumature a disposizione… E una tecnica unica che unisce la mano dell’uomo alla macchina». Ecco il suo disegno concretizzarsi nelle tessere di vetro, precisissimo. Lo stesso avviene per l’altra serie di motivi che completano la collezione ispirati a figure mitologiche, ma dal tratto geometrico: «La suggestione è la pittura cubista», precisa lui, che attinge a un mondo creativo sfaccettato. «Provengo da una famiglia di intellettuali: padre sociologo, mia madre ha lavorava nel mondo dell’editoria libraria, ed è grazie a lei che ho iniziato a frequentare le mostre e appassionarmi all’arte e alla scenografia. Disegnavo, avrei voluto fare il costumista. Poi, a metà degli anni ’80 l’occasione mi è arrivata dalla moda, in Italia. Prada, Blumarine e sei anni da Fendi con Karl Lagerfeld e quindi la direzione artistica di Moschino. Disegnavo tutto, dagli abiti agli accessori», racconta. Rientrato a Parigi, l’ultima esperienza nella moda è da Ungaro: «Ma vedevo che quel mondo era in cambiamento: l’energia creativa si stava perdendo a favore di un approccio più commerciale. In cui non mi ritrovavo più». Da qui la decisione di virare sull’arredamento: «Con una visione non da architetto ma da decoratore di interni».
Infatti emerge uno sguardo diverso, che mischia moda e arti decorative, il senso del colore e il gusto per l’arte: «Abbandonato il mondo fashion, mi sono sentito libero di creare come volevo, spaziando dalle ”scenografie” per spazi pubblici e privati agli oggetti per arredarli». Sì, perché nella visione di Darré tutto nasce dall’idea di un set cinematografico: «Il cinema è uno dei miei riferimenti. Fellini, i musical americani: mia madre mi portava a vederli. Immaginare la scena di un film per me rimane il punto di partenza del progetto». É successo anche per l’ultimo, la reinvenzione dello stabilimento balneare L’Ondine-Vilebrequin sulla Croisette a Cannes, che proprio in questi giorni ospita eventi legati al Festival del Cinema nella sua nuova veste ideata da Darré: «Ho immaginato l’atmosfera di una spiaggia anni ’50, quella del film “Caccia al ladro”. Così ho creato dei mobili in ferro battuto ispirati alle forme dei pesci e dei polpi, piastrelle dipinte a mano nei toni dell’acqua, le righe larghe delle sdraio della mia infanzia. Nessuna traccia di quel beige noioso di molte spiagge di Cannes, invece tanto colore e fantasia». La stessa che ha messo in gioco, qualche mese fa, per la mostra Le Chic ! Arts décoratifs et mobilier de 1930 à 1960 al Museo Gobelin a Parigi: «Arredi delle ambasciate e ministeri di Francia esposti non attraverso un percorso statico “da antiquario”, ma in scenari, perché il pubblico potesse immergersi nell’epoca». Largo all’immaginazione, e non solo: «Ogni progetto per me è una nuova avventura», dice, svelando la prossima: «In Messico, a creare l’interior di un cabaret».