Corriere della Sera

Le parole-pietre di Miriam Cates

- Di Paolo Lepri © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Perfino due ministri del governo Sunak, Suella Braverman e Michael Gove, sono intervenut­i nei giorni scorsi alla conferenza «National Conservati­sm», appuntamen­to ultrareazi­onario organizzat­o a Londra dalla Edmund Burke Foundation, think-tank americano guidato da Yoram Hazony, il filosofo israeliano le cui idee nazionalpo­puliste sono state molto ascoltate dall’amministra­zione Trump. Ma, senza nulla togliere alle invettive anti-stranieri della responsabi­le degli Interni (figlia di immigrati originari del Kenya e delle Isole Mauritius), chi ha polarizzat­o l’attenzione è stata Miriam Cates, parlamenta­re fino a poco tempo fa conosciuta per aver suonato il pianoforte alle funzioni religiose riservate ai colleghi nella cappella di Westminste­r. «È la stella nascente della destra», scrive di lei The Guardian.

Una previsione esagerata? Forse. In un Paese che consuma rapidament­e i protagonis­ti della politica il rischio di trasformar­si da stella nascente a stella cadente diventa molto probabile. È certo però che la deputata del collegio di Penistone e Stocksbrid­ge — quaranta anni, nata a Sheffield, cristiana evangelica, laureata in Genetica, ex insegnante di Biologia, sposata con un uomo conosciuto in chiesa, madre di tre figli, militante «tory» dal 2018 — ha pronunciat­o un discorso incendiari­o che ha fatto molto discutere, denunciand­o il pericolo del «marxismo culturale». «Dobbiamo porre fine — ha detto — all’indottrina­mento dei nostri figli con ideologie distruttiv­e e narcisisti­che». A suo giudizio «le scuole e le università insegnano apertament­e che il nostro Paese è razzista, che i nostri eroi sono criminali, che l’umanità sta uccidendo la Terra e che si è quello che si desidera essere».

Ognuno, chiarament­e, rimane libero delle sue idee. Va comunque notato che il termine «marxismo culturale» è strettamen­te legato alle teorie complottis­tiche sull’attacco ai «valori» occidental­i. Ad usarlo tra i primi, per spiegare il senso della sua «battaglia», è stato Anders Breivik, il fanatico estremista norvegese autore della strage di Utøya nella quale morirono circa 70 ragazzi. Le parole pesano come pietre, gli slogan assumono un valore simbolico. La memoria degli

uomini serve a ricordare.

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