Corriere della Sera

Sulla scia di Camilleri, l’atlante geografico dei giallisti

Secondo Maurizio de Giovanni il successo dei poliziesch­i è dovuto anche alla loro caratteriz­zazione regionale che riflette la varietà del nostro Paese

- Carlo Baroni

Un delitto non leggerli. Gli italiani sui gialli la pensano così. Due libri su tre in classifica hanno per protagonis­ta un uomo della legge. Ma chiamarla solo moda è da arresto immediato. E anche dire tendenza letteraria non spiega tutto. Per spiegare il motivo del successo ci vorrebbe un commissari­o di quelli bravi. Comincereb­be da un indizio: le code al Salone del Libro quando a parlare è l’autore di un noir.

Il movente? I poliziesch­i sono libri democratic­i. Il linguaggio è immediato, senza essere povero. Per questo piace a tanti. E soprattutt­o lo capiscono tutti. La scena del crimine? Un Paese intero, l’Italia. Su questo Maurizio de Giovanni ha più di un sospetto: «Tutto è cominciato con Camilleri. Lui ha inventato una lingua, disegnato luoghi. Descritto personaggi che solo lì avevano sapore. Adesso ogni regione ha il suo giallista, è l’unicità italiana. Pensiamo agli scandinavi. Non c’è differenza se il romanzo è ambientato a Copenaghen oppure a Oslo. Da noi, invece, un romanzo che ha per sfondo Napoli ha uno scenario quasi esotico per un lettore mantovano. E viceversa».

Pista investigat­iva che convince anche Cristina Cassar Scalia. La sua Vanina Guarrasi, vicequesto­re, racconta Catania con gli occhi stupefatti e curiosi di un viaggiator­e tedesco per un Grand Tour del Settecento nel Belpaese. «La mia essenza palermitan­a mi fa vedere cose, situazioni, gestualità che un catanese doc non riesce a cogliere». Il giallo italiano è un atlante: bastano pochi chilometri e cambiano panorama e scenari. E persino i tipi umani. Valerio Varesi e Carlo Lucarelli scrivono di posti divisi da una camminata, eppure muta ogni cosa. Quasi ci fossero due Emilie.

Antonio Manzini fa addirittur­a un triplo salto mortale. Gialli sotto la neve di un’insospetta­bile Aosta e commissari­o romano, il suo Rocco Schiavone, che più romano non si può. Anzi trasteveri­no. E allora a leggerli tutti i gialli italiani viene da pensare che la trama sia quasi un di più. Un valore aggiunto, un regalo. Il bello è questa Italia, anche quando il colore che domina è il rosso sangue. «Il crimine fa parte della natura umana — continua de Giovanni —, già nelle prime pagine della Genesi c’è un morto ammazzato. I gialli raccontano la realtà, e quelli italiani ci aiutano a riconoscer­e le differenze territoria­li. Che sono una ricchezza vera e profonda».

Lo scrittore di poliziesch­i ha le chiavi per aprire le celle dell’anima. E gli viene facile cimentarsi anche con altri generi. Come un decathleta che salta, corre e lancia. De Giovanni vola dal commissari­o Ricciardi a Sara, protagonis­ta del nuovo libro Sorelle. «Scrivere di donne è bellissimo: è come avere la scatola di matite con 64 colori». Ma il giallo vince ancora e sempre.

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Maurizio de Giovanni al Salone del Libro

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