Padiglione Italia L’architettura giovane si mette alla prova
La Biennale per la transizione ecologica
È aperta da oggi la XVIII Biennale di Architettura di Venezia e nel corso della giornata conosceremo a chi saranno assegnati i Leoni d’Oro. Ieri sera, intanto, il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha inaugurato il Padiglione Italia intitolato Spaziale / Ognuno appartiene a tutti gli altri — citazione dal pensatore anglosassone Aldous Huxley ma anche vicina alle tesi di Émile Durkheim — che mette in mostra con installazioni simboliche e descrive con filmati nove operazioni spaziali nate dall’incontro tra progettisti e advisor.
A curarlo, proprio nell’anno in cui il rivoluzionario saltatore in alto Dick Fosbury è scomparso, è stato chiamato il collettivo Fosbury Architecture, composto da Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi, architetti nati tra il 1987 e il 1989 che propongono all’osservazione una nuova generazione di progettisti (o practitioner) under 40 impegnati su territori complessi. A sceglierli è stato l’allora commissario Onofrio Cutaia, che adesso fa il «sovrintendentecommissario» al Maggio Musicale Fiorentino.
Il Collettivo Post Disaster si mette alla prova sui tetti di Taranto, dimostrando che l’architettura è diventata in ogni spazio che occupa una pratica performativa. Nella Baia di Ieranto, oasi del Fai, gli architetti Alessandro Bava e
Fabrizio Ballabio affrontano la riconciliazione con l’ambiente. A Trieste si è riaperto un tunnel sotterraneo lavorando con gli speleologi. A Ripa Teatina (Chieti), gli HPO portano a termine una strada incompiuta. A Mestre-Marghera i Parasite hanno trasformato la facciata esterna della chiesa di Gesù Lavoratore in una parete per arrampicata. Il tema della transizione alimentare è affrontato nella città sarda di Cabras dal gruppo Lemonot, che combatte l’eccessiva richiesta di bottarga. La rigenerazione delle piazze di spaccio a Librino (Catania) avviene con spazi-giochi dello Studio Ossidiana. Panchine sonore a Belmonte Calabro col Collettivo Orizzontale e, infine, la tutela del paesaggio nella piana tra Prato e Pistoia con i progettisti (ab)Normal e Captcha.
Questo Padiglione Italia presenta quindi dei sensibili storytelling ambientali pensati con advisor (scrittori, artisti, registi), più convincenti nelle intenzioni (comprensibili dai filmati) che in una possibile vasta diffusione presso gli stakeholder. Mentre Fosbury rivoluzionò la disciplina del salto in alto, passando dal ventrale al dorsale e vincendo l’oro olimpico a Città del Messico, qui il salto è, per ora, nella comunicazione e nelle intenzioni (architettura collettiva, inclusiva, performativa, espansiva…), sebbene i nove percorsi presentati siano frutto di altrettanti laboratori sul territorio di cui il padiglione è la sintesi.
Il ministro lo ha molto apprezzato, sia per la giovane età dei curatori (media 33 anni), sia perché vede una traccia di avanguardia progettuale. «Anche quando Papini, Prezzolini e Soffici portarono per la prima volta a Firenze gli Impressionisti, e tra questi il primo Van Gogh, i giornali dell’epoca non li capirono: furono criticati, ma aprirono la mente. Quello di Fosbury è, per me, un progetto di avanguardia, che oggi ci sorprende ma che può diventare il canone estetico del futuro» o, meglio, un indirizzo metodologico. Tanto che cita un passaggio dal Manifesto dell’Architettura Futurista scritto da Antonio Sant’Elia nel 1914. Da qui, l’apprezzamento del ministro si estende a tutta la Biennale, perché «l’attuale governo conta molto sul rapporto con il giovane continente africano dal quale vengono nuove intuizioni». Ancor più piacere gli ha suscitato la visita alla mostra fotografica allestita a Ca’ Giustinian dedicata alla Biennale del Dissenso del 1977, con allora presidente Carlo Ripa di Meana. «Mi ha fatto piacere visitare la mostra B74-78 sul tema del dissenso. La lettura dei grandi dissidenti alla fine degli anni Settanta, per affermare la libertà in Urss e in Cile, è stata per me fondamentale. Ottima l’idea di organizzarla». La mostra è la prima attività condotta dall’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale dopo l’acquisizione del Fondo Lorenzo Capellini, con l’intento di conservare e valorizzare l’archivio del grande fotografo, già collaboratore del «Mondo» di Mario Pannunzio.
Tornando al Padiglione Italia, esso mostra come l’architettura in transizione sia diventata discorso sociale collettivo, con tratti anche di identità locale. Per comunicare alla collettività non espone progetti, ma cerca di evidenziare a cosa la pratica sugli ambienti umani può servire. Suggerisce anche un rinnovamento per le scuole di architettura che porti al superamento del tecnicismo globalista e dell’autoreferenzialità della disciplina incapace di comunicare con il prossimo e, per questo, come scriveva Walter Benjamin, sempre «fruita nella distrazione».
Si deve però evitare che tutto ciò sfoci in una sorta di sociologia pratica costituita da progettipilota e rivestita di vuoti neologismi (permacrisi, smartcity…). Anche perché, mentre il Padiglione Italia mostra piccole utopie realizzate, su di noi incombe proprio quel distopico «Mondo nuovo» descritto da Huxley (eugenetica, controllo tecnologico dell’individuo…). Però utopiaconcreta e distopia sono un po’ i poli dialettici delle Biennali.