Cannes, Sean Penn all’attacco
«I produttori americani, un’associazione di banchieri Usare l’intelligenza artificiale per scrivere i film? È un’idea tossica, sto dalla parte degli sceneggiatori»
CANNES «La cosa da fare quando si parla dello sciopero degli sceneggiatori, sarebbe cambiare il nome all’associazione dei produttori, la Pga (Producers Guild of America, ndr) e chiamarli per quello che sono, un’associazione di banchieri». Sean Penn torna in concorso a Cannes, coprotagonista al fianco di Tye Sheridan di Black Flies del regista francese, newyorkese d’adozione, Jean-Stéphane Sauvaire e approfitta della ribalta per partire all’attacco. «Il mio supporto nei confronti degli sceneggiatori della Wga è totale. Sento girare nuove idee, tossiche, tipo che i film si possano scrivere con l’intelligenza artificiale. Mi colpisce che un’umana oscenità simile possa essere sostenuta dai produttori. È difficile in questo momento per tanti autori non poter lavorare. L’industria sta sconvolgendo la vita di autori, attori e registi da molto tempo».
Non è la solo star a esprimere dalla Croisette la propria solidarietà a chi sciopera. Ethan Hawke girava con una maglietta con una scritta esplicita: «Pencils down», giù le penne. Ma le parole di Penn — anche se più tardi ha precisato con Variety che il suo obiettivo era la Amptp (Alliance of Motion Picture and Television Producers), l’associazione dei produttori, non il sindacato — pesano. Con Hollywood l’antipatia è reciproca. Da una quindicina d’anni, il due volte premio Oscar (per Mystic River e Milk), si sente meglio in Europa. Ha scelto la Berlinale per presentare il suo documentario codiretto con Aaron Kaufman sull’Ucraina Superpower, di cui aveva cominciato le riprese nel 2021, prima dell’inizio della guerra («Quello che avete visto era un work in progress, l’ho finito quattro giorni fa», anticipa).
Qui a Cannes l’attore sessantaduenne è sempre benvenuto. I fischi e le stroncature con cui fu accolto nel 2016 il suo penultimo film The Last Face e i visi lunghi suoi e di Charlize Theron alla conferenza stampa sono solo un ricordo (resta la scelta, presa da Thierry Frémaux proprio dopo quell’edizione, di tenerle il giorno dopo la proiezione ufficiale). Due anni fa è tornato in gara con Flag Day dove ha diretto i figli Dylan e Hopper. E ora è qui con un film che racconta la vita agra nell’America di oggi, girato, non a caso, da un regista francese.
In Black Flies è Rutkosvsky, un paramedico di esperienza, meno cinico di quanto voglia apparire, in prima linea nella guerra quotidiana nelle violentissime strade da Bushwick e Brooklyn, dove sembra più facile rischiare la vita per una pallottola, un agguato, le botte di un compagno, o un overdose, che tornare a casa tranquilli. Come compagno di ambulanza si trova accanto il giovane Ollie, Tye Sheridan, che coltiva il sogno di poter diventare medico. Si tratta di un adattamento del romanzo 911 di Shannon Burke, frutto di lunghe ricerche e frequentazioni degli operatori delle ambulanze notturne della città. Lavoratori con cui Penn si è dichiarato solidale. «Ci sono molti modi di essere al fronte — dice, in chiaro riferimento all’Ucraina —, chi decide di fare questo mestiere lo fa per il desiderio di rendersi utile agli altri». Si dichiara pessimista sul sistema sanitario americano che lascia troppe persone indietro, senza assistenza. «Persone come Rut e Ollie che abbiamo conosciuto da vicino sono in prima linea, lavorano in condizioni estreme». Turni massacranti, stipendi da fame, sempre sull’orlo di una crisi emotiva. «Speriamo la gente se ne renda conto. Perché alla fine sono loro, con una forza che definirei primitiva, a salvare vite umane. Mentre la sanità è al centro degli interessi di chi ci vuole solo speculare». Nel film vediamo Penn e Sheridan alle prese con situazioni atroci, come in un ospedale di guerra. «Ci siamo preparati a lungo, seguito chi fa questo lavoro, visto come operano. E Jean-Stephane ci ha fatto muovere sul set come in una coreografia». Sauvaire si complimenta. «Bravissimi. Se avete un problema a New York, non chiamate il 911, chiamate Sean e Tye», scherza.
Stropicciato e malmostoso, Penn, accenna un sorriso. Fa un po’ fatica a uscire dalla parte dell’antistar che non deve chiedere mai. Prima di iniziare la sfilata sul red carpet si è fermato a fumare, ostentando la sigaretta che in Usa fa più scandalo di un mitra. Ma poi di fronte all’ovazione a fine proiezione, anche lui ha ceduto alle lacrime.
Ci sono molti modi di essere al fronte, chi decide di fare il paramedico lo fa per il desiderio di rendersi utile agli altri
Ho finito quattro giorni fa di lavorare al docu sull’Ucraina «Superpower» diretto insieme ad Aaron Kaufman