Corriere della Sera

IPNOTIZZAT­I NEL PRESENTE

Trieste ospita per la prima volta le foto del grande artista americano. Che spiazza con la vitalità di corpi e colori I MONDI (MISTICI) DI LACHAPELLE CI INCHIODANO AL «QUI ED ORA»

- Di Cristina Marconi

Chissà se il nostro sguardo post-pandemico è ancora capace di reggere la vitalità, i colori e le luci, le forme piene e l’estetica levigata, ironica di David LaChapelle. Chissà se la sua visione ottimista parla ancora del nostro presente. Viene da chiedersel­o, davanti a queste immagini sature e squillanti, così lontane dalla cupezza dai nostri tempi di malattie, guerre e paure climatiche. È una complessit­à, tuttavia, che il fotografo affronta già da un po’, ossia da quando, nel 2006, ha smesso di plasmare in maniera spesso definitiva, attraverso i suoi ritratti giocherell­oni e provocator­i, l’immagine pubblica delle celebritie­s, che da allora posano per lui molto più raramente, spesso solo se inserite in un progetto su uno dei temi che stanno a cuore al fotografo sessantenn­e cresciuto alla scuola di Andy Warhol.

Progetti come Rape of Africa, in cui Naomi Campbell, nella posa che fu di Simonetta Vespucci nel Venere e Marte di Sandro Botticelli ma con le vesti lacere, incarna un continente depredato e violentato, oppure una Pietà in cui Courtney Love regge il corpo di un giovane molto somigliant­e a Kurt Cobain. Tanti lavori sono una sorta di remix contempora­neo dei classici della pittura: Deluge, in cui figure alle prese con il diluvio universale si sorreggono e si sostengono mentre la civiltà crolla, o gli Awakened, che nuotano nell’acqua, elemento di dissoluzio­ne di quello che siamo, di quello che abbiamo prodotto.

Nonostante gli evidenti sforzi e la sapienza della composizio­ne, la sensazione è che LaChapelle non riesca a sfuggire al modo rodato che ha di rappresent­are i corpi e che questo ne ostacoli una visione artistica più radicale, impedendol­e di schiodarsi dalle pubblicità e dai ritratti che lo hanno reso celebre.

Lo stesso vale per le immagini di ispirazion­e religiosa, che risultano magari profane, senz’altro molto belle, ma sicurament­e non dissacrant­i per via di una loro certa prevedibil­ità. Inevitabil­mente lo sguardo sui corpi di David LaChapelle, probabile matrice di tutto ciò che i filtri Instagram hanno cercato di imitare negli ultimi anni, tende a soffocare il contenuto. È forse per questo le sue opere recenti diventano molto più interessan­ti quando l’elemento umano non c’è. Se un padiglione di arte contempora­nea fotografat­o dopo un terremoto immaginari­o, con il Balloon Dog di Jeff Koons un po’ smarrito in mezzo ad altri pezzi d’arte riconoscib­ili, oppure un museo dove grandi capolavori rinascimen­tali sono ormai a pelo d’acqua sono messaggi che mantengono la vocazione didascalic­a che LaChapelle ha sempre avuto, le Gas Station luminescen­ti avvolte in una natura di cui rappresent­ano l’antitesi, nonché una delle minacce peggiori, hanno il fascino misterioso dei templi cambogiani tornati alla giungla, in uno stallo ipnotico tra natura e mano dell’uomo che non ci si stanca di guardare.

Lo stesso vale per le meraviglio­se vanitas di Earth Laughs in Flowers, impostate seguendo filologica­mente il modello barocco ma contenenti, oltre ai fiori amati dai fiamminghi e spesso vistosamen­te appassiti, incongrui elementi di sbeccata contempora­neità, come la testa di una bambola, un giornale scandalist­ico, una pistola ad acqua. LaChapelle ci tiene a sottolinea­re in tutte le interviste che non lavora in post-produzione e che non è certo Photoshop a poter restituire questa perfezione: sicurament­e queste immagini artefatte hanno una profondità che dovrebbe farci riflettere

” Elemento umano Le sue opere recenti diventano molto più interessan­ti quando non c’è l’elemento umano

” Finalità di un’arte Queste immagini dovrebbero farci riflettere su quello che chiediamo alla fotografia

su quello che chiediamo alla fotografia, sugli standard generalmen­te bassi di cui ci accontenti­amo. Ma il titolo Still Life/ Natura Morta il fotografo lo consacra con ironia a un altro progetto. Dopo che fu vandalizza­to il museo delle cere di Dublino, LaChapelle andò a fotografar­e i volti in frantumi di personaggi famosi come re Carlo III, Leonardo DiCaprio o la principess­a Diana, in un disfacimen­to che è sì legato al destino della carne, ma anche, sembra suggerire, a quello dell’immagine, anche a quella che ha creato lui.

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alto, Seismic Shift in cui si notano opere di Damien Hirst, Richard Prince, Jeff Koons. A destra, Behold e in fondo a destra, Jesus is my homeboy: Last Supper
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Surreale Nella foto in alto, Seismic Shift in cui si notano opere di Damien Hirst, Richard Prince, Jeff Koons. A destra, Behold e in fondo a destra, Jesus is my homeboy: Last Supper e When the world is through
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