Corriere della Sera

Gli «scarriolan­ti» e la lotta alle paludi Un secolo e mezzo d’ingegno e sforzi

- Di Antonio Carioti

«Secondo i dati di un’inchiesta effettuata nel 1870, all’epoca il terreno paludoso in Emilia-Romagna era pari a 141 mila ettari. Oggi la parte residua occupa 16 mila ettari». Le statistich­e, citate dallo storico Roberto Balzani, parlano chiaro. Negli anni il lavoro di bonifica è stato ingente e fruttuoso, anche se l’alluvione ha provocato danni a cui non sarà facile rimediare. E la scelta di deviare le acque per preservare il centro storico di Ravenna ha trasformat­o in palude, con il consenso dei proprietar­i, anche terreni che si erano finora salvati.

Docente all’Università di Bologna, sindaco di Forlì dal 2009 al 2014, Balzani ricorda le origini dello sforzo di bonifica: «La prima irreggimen­tazione dei corsi d’acqua avviene durante il periodo napoleonic­o, a partire dal 1807, con l’avvio di un canale destinato a fungere da scolmatore del fiume Reno per evitarne l’esondazion­e, all’epoca frequente. È il cosiddetto Cavo Napoleonic­o, completato poi nel corso del Novecento».

La fase più intensa dei lavori comincia nella seconda metà del XIX secolo: «Decisiva è la legge Baccarini del 1882, che prevede un forte intervento dello Stato anche per combattere la malaria. In seguito a quel provvedime­nto si procede alla bonifica dell’area paludosa situata a nord della Via Emilia, tra la costa e il Po. Basti pensare che all’epoca era occupata dagli acquitrini la maggior parte della superficie del comune di Ravenna, che peraltro è il più esteso d’Italia dopo quello di Roma. L’iniziativa si deve ad Alfredo Baccarini, ministro romagnolo dei Lavori pubblici».

L’opera di bonifica, nota Balzani, si svolgeva «in modo tradiziona­le, per colmata. Si impiegavan­o operai agricoli, gli scarriolan­ti, che trasportav­ano la terra nella zona paludosa con le carriole per alzare il livello del terreno. Era un lavoro molto duro e faticoso. All’epoca venne avviata anche la trasformaz­ione delle paludi in risaie, poi abbandonat­a. Più avanti vennero impiegate le idrovore a vapore per drenare le acque».

Il lavoro di bonifica si completa poco oltre la metà del Novecento. «Il fascismo vara nel 1924 la legge Serpieri con un programma per la “bonifica integrale”, che decreta lo svuotament­o delle aree paludose e la loro messa a coltura nell’ambito della “battaglia del grano” per l’autosuffic­ienza alimentare dell’Italia. Ma gli investimen­ti del regime si riducono molto in seguito alla grande crisi del 1929. Poi, dopo la Seconda guerra mondiale, subentra l’uso massiccio del Ddt che permette di sconfigger­e la malaria».

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(Foto museo di Mirabello) Al lavoro Operai agricoli al lavoro con le carriole (gli «scarriolan­ti») per le bonifiche in Romagna nel primo ’900

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