SULLO SFONDO RIMANGONO DUE PROBLEMI IRRISOLTI
Le polemiche aspre e un po’ scivolose sui vertici della Commissione parlamentare antimafia hanno velato due temi altrettanto strategici: la discussione sull’autonomia regionale differenziata e quella sul Piano per la ripresa. Eppure, ieri si è avuta la dimostrazione di quanto si tratti di problemi intrecciati e tuttora indefiniti. Sull’autonomia voluta soprattutto dalla Lega, c’è stata la controprova che i governatori delle regioni settentrionali sono intenzionati a ottenerla: in primo luogo contrastando la vulgata, diffusa in modo trasversale, di spingere per una riforma divisiva.
Anche ieri, durante l’incontro di alcuni «governatori» al Senato, è emersa la preoccupazione di accreditare una sorta di contro-narrazione rispetto a quella degli uffici tecnici del Parlamento; e dunque di smentire che l’autonomia spaccherebbe l’unità del Paese. Ma, di nuovo, l’operazione ha prodotto risultati tutti da verificare alla prova dei fatti. Il presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia, mostra un approccio difensivo quando giura di non avere «la fissa dell’autonomia». La consapevolezza di «una strada in salita» certifica resistenze forti.
Forti, e ben distribuite. Si tratta di ostacoli che non riguardano solo le opposizioni, ma la stessa maggioranza di destra, timorosa di perdere consensi al Centro e nel Sud. Senza che nessuno lo voglia, cresce la sensazione di un Carroccio avviato su un percorso non solo accidentato ma solitario. Deciso a presentare il suo obiettivo come «autonomia solidale» e nel rispetto della Costituzione; e tuttavia circondato da una diffidenza palpabile di avversari e alleati, anche per il modo in cui l’idea è partita: a cominciare dai referendum consultivi regionali del 2017.
La loro carica iniziale «anti-centralista» alla lunga è diventata un ostacolo, perché è stata letta in filigrana come un tentativo di smarcarsi da un’Italia meridionale in ritardo e impoverita. Le rassicurazioni del ministro Roberto Calderoli e degli altri leghisti sono il tentativo di smontare una polemica strisciante, e in qualche caso esagerata. Ma certamente destinata a non favorire un’approvazione rapida e politicamente indolore. L’incrocio con i problemi posti dalla realizzazione del Piano per la ripresa rende la questione più complicata.
Ormai, nel governo si oscilla tra l’ammissione che non si riusciranno a raggiungere tutti gli obiettivi programmati, e la ricerca di una soluzione che limiti i danni economici e di immagine, se non sarà possibile spendere i fondi europei. L’ipotesi di un «salvadanaio» nel quale depositare i finanziamenti del Piano per la ripresa che non si riescono a spendere è stata avanzata ieri proprio da Zaia. E questo dopo che il suo leader e ministro Matteo Salvini aveva detto di volere usare «fino all’ultimo centesimo». È il segno di una questione aperta per tutti, che cerca ancora un punto di equilibrio.