Il regista e il caso che colpì Spielberg «Lui rinunciò e mi dissi: ora tocca a me»
«La religione ha le sue certezze, che non sono contrattabili». Marco Bellocchio, 83 anni, tra i grandi autori del nostro cinema, spiega chiaro, al critico del Corriere della Sera Paolo Mereghetti che lo intervista, qual è l’idea che si è fatto della Chiesa. Di ieri e di oggi. Tanto da fare riferimento pure a papa Francesco: «Anche il nostro Papa tanto amato dice Nel nome del Signore... C’è la carità, c’è la misericordia, però non è che in nome di carità o misericordia si possano mettere in discussione i dogmi di fede». Il regista emiliano, ieri in corsa con Rapito al Festival di Cannes, è anche protagonista della copertina di 7, il settimanale del Corriere venerdì in edicola e in edizione digitale. Quando il magazine sarà uscito anche il film lo sarà, nelle sale cinematografiche di tutta Italia. Ma ancora la giuria del Festival sulla Croisette non avrà formulato i suoi verdetti, attesi per sabato. Chissà se la storia ambientata a metà Ottocento del piccolo ebreo Edgardo Mortara, strappato su ordine di papa Pio IX alla famiglia e portato a vivere in Vaticano, dove crescendo deciderà di farsi sacerdote, avrà colpito i giurati come ha colpito Bellocchio. E come colpì l’ebreo Steven Spielberg, che prima di lui avrebbe voluto farla diventare un film. Fu quando Spielberg rinunciò che Bellocchio, fermatosi di fronte a tanto «rivale», decise di portare al cinema la storia del piccolo Edgardo e della sua famiglia offesa, uno dei punti più bassi nella storia dei rapporti altalenanti tra cattolici ed ebrei, raccontati sempre su 7 da Antonio Carioti a corredo dell’intervista. Non pensate però ad un film anticlericale, mette in guardia lo stesso Bellocchio, affascinato dalla fede: «In me, pur ateo, c’è una disponibilità maggiore ad ascoltare».
All’interno del settimanale la tradizionale Guida di 7, stavolta dedicata ai consigli di viaggio. In Italia e all’estero.