Lo Stato pontificio e un bel racconto senza ideologie
Affascinato da sempre da chi lotta contro il Potere (politico, ecclesiale o familiare poco importa), anche se non sempre la vittoria arride agli sfidanti, questa volta Marco Bellocchio sembra ribaltare il suo punto di osservazione: Rapito è più la storia di una «sconfitta» che di una lotta, ma forse per questo è ancor più interessante. Il piccolo Edgardo Mortara, portato via alla famiglia ebrea perché battezzato di nascosto dalla sua nutrice (siamo nel 1858), non sembra nemmeno un novello Davide che lotta con il papa Golia. Il potere spirituale e temporale di Pio IX si rivela subito invincibile e il «non possumus», che sentenzia di fronte alle richieste di restituire il piccolo, diventa nel film la sintesi di una forza inattaccabile. Ma non per questo meno raccontabile. E la bella idea del film diventa allora il pedinamento, la scoperta giorno dopo giorno di come il piccolo Edgardo viene accompagnato a tradire la sua fede originaria e l’amore per la sua famiglia. Usando al meglio la propria cultura ed eleganza visiva (molte le citazioni pittoriche) e un cast davvero in stato di grazia (a partire dal piccolo Enea Sala per continuare con la rabbiosa mamma di Barbara Ronchi e il dolente padre di Fausto Russo Alesi. Ma tutti meriterebbero una citazione: Maltese, Gifuni, Pierobon, Calabresi, Timi, Camatti, Teneggi), il film restituisce scena dopo scena la complessità di un rapporto di sudditanza ben più sfumato di quello servo-padrone, senza voler fare scelte ideologiche (da adulto Mortara restò testardamente cattolico) ma illuminando con intelligenza le profondità e le debolezze dell’animo umano. Un’operazione che Wes Anderson con il suo Asteroid City nemmeno tenta. Divertendosi a raccontare come un drammaturgo riassuma una pièce teatrale che vediamo anche messa in scena, il regista si fa affascinare dalle sue immagini senza profondità, dai suoi dialoghi senza costrutto, dalla sua passerella di volti famosi per illustrare il suo solito mondo superficiale e gratuito, dove ci si deve accontentare di una pallida spruzzata di ironia sull’american way of life.