Gershkovich dentro la gabbia: il reporter rischia vent’anni
All’inviato del «Wall Street Journal» negata la libertà su cauzione
«Era così felice di vederci. È stato un sollievo per lui e per noi». La signora Ella ha aspettato un’ora fuori dall’aula prima di essere ammessa con il marito Mikhail all’udienza del figlio Evan. Un’ora interminabile: era il loro primo incontro da quando il 29 marzo il giovane è stato arrestato con l’accusa di spionaggio in un ristorante della città industriale di Ekaterinburg, sugli Urali.
Lui, Evan Gershkovich, reporter 31enne del Wall Street Journal, figlio americano di emigrati nel New Jersey dalla Russia sovietica, quindi perfettamente bilingue, stava lavorando — a quanto risulta — a un articolo sul reclutamento dei cittadini locali nel gruppo Wagner, impegnato anche in Ucraina. Ma per gli inquirenti di Mosca stava invece andando a caccia di dati sull’attività delle imprese belliche russe, «per conto del governo Usa», dati che il Cremlino considera segreti di Stato. «Non so come descrivere questa felicità e questa tristezza allo stesso tempo», ha riferito la donna al quotidiano americano. Sollevata e provata al tempo stesso, nel vedere il figlio che appariva rilassato e in buona salute ma pur sempre rinchiuso in una gabbia: non hanno potuto parlarsi, hanno comunicato con dei sorrisi.
Dall’udienza a porte chiuse, alla quale hanno presenziato rappresentanti del Dipartimento di Stato Usa, è uscito un verdetto poco rassicurante, quanto prevedibile: confermato il rifiuto della libertà su cauzione (già respinta ad aprile) e custodia cautelare prolungata di tre mesi, fino ad agosto. Evan resta dunque detenuto a Mosca, nel carcere di Lefortovo, famoso per ospitare oppositori politici. Se condannato, rischia fino a 20 anni di prigione. Si tratta del primo reporter americano dai tempi della Guerra Fredda ad essere detenuto in Russia con l’accusa di spionaggio.
La visita dei genitori «Vederlo all’udienza ci ha sollevati» Ma hanno comunicato senza potersi parlare
Una settimana dopo l’arresto, il 7 aprile Gershkovich è stato formalmente incriminato, nonostante le autorità Usa e lo stesso Wall Street Journal abbiano smentito categoricamente l’accusa di spionaggio e ne abbiano chiesto l’immediato rilascio. Le autorità russe non hanno dettagliato quali prove, ammesso che ce ne siano, hanno raccolto a sostegno delle accuse. Del resto Gershkovich, inviato prodigio passato dall’Associated Press al Wall Street Journal, ha un profilo che non corrisponde a quello di una spia che agisce nell’ombra: gli agenti segreti che usano il giornalismo come copertura di solito non sono professionisti di grande visibilità, né scrivono per le principali testate mondiali.
I funzionari dell’ambasciata Usa sono stati autorizzati a visitare Gershkovich una volta soltanto, ad aprile: le autorità di Mosca hanno negato altre due recenti richieste. Il caso ha suscitato indignazione in Occidente. «Chiediamo ancora una volta alla Russia di rispettare il proprio obbligo di fornirgli la possibilità di comunicare con un diplomatico», ha ribadito il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller, definendo le accuse contro Gershkovich «prive di fondamento».
Nei casi di spionaggio più complicati il periodo di custodia cautelare può essere esteso fino a 12 mesi, secondo il codice di procedura penale russo. Ma un’ulteriore proroga può essere concessa in circostanze eccezionali. Come accaduto a Paul Whelan, l’ex marine americano condannato per spionaggio nel 2020 che sta scontando una pena di 16 anni: rimase in custodia cautelare per 15 mesi, prorogata per cinque volte.
Attivisti per i diritti umani, funzionari occidentali e avvocati russi accusano Mosca di sfruttare a fini politici il diritto di prolungare la carcerazione preventiva. Alcuni analisti confermano che l’estensione del periodo preliminare potrebbe servire a Mosca per trattare con Washington sullo scambio di prigionieri. I genitori di Evan sono ottimisti: «È una delle qualità americane che abbiamo assorbito, credere nel lieto fine».