L’invenzione e la libertà narrativa di Nanni
Sembrava scritto nelle cose che il regista Tran Anh Hung finisse per fare un vero film culinario (nel Profumo della papaya verde c’erano solo suggestioni gastronomiche). Obiettivo raggiunto col romanzo di Marcel Rouff, diventato anche il titolo del film: La Passion de Dodin Bouffant, storia inventata di un fantomatico cuoco di fine Ottocento che trova nella sua assistente Eugénie ben più di una collaboratrice sapiente. Lui ha il corpo robusto di Benoît Magimel, lei quello più sofferente di Juliette Binoche, insieme li vediamo cucinare tra meravigliose casseruole di rame, mentre cercano (e trovano) gli equilibri più delicati e preziosi per i loro piatti. C’è anche una sottotrama drammatica (Eugénie ha una salute molto cagionevole e forse per questo continua a rifiutare le proposte di matrimonio di Dodin) ma la maggior parte dei 130 minuti del film sono occupati da minuziose riprese culinarie: preparazioni, cotture, impiattamenti mentre lui divide la tavola con quattro golosi amici e lei lavora instancabile in cucina. Senza alcuna mancanza di riconoscimenti (gli uomini chiedono alla donna di sedersi a tavola con loro) ma con una ricercatezza visiva e una puntigliosità didascalica che, lontanissimi dal far venire l’acquolina in bocca, finiscono per dare un senso
La maggior parte dei 130 minuti del film di Tran Anh Hung sono occupati da minuziose riprese culinarie
un po’ stucchevole di sazietà. Com’è diversa la libertà narrativa e l’invenzione del Sol dell’avvenire (recensito sul Corriere della Sera il 19 aprile scorso) che ieri ha diviso il cartellone del concorso. E, al di là dell’orgoglio nazionale, capisci la differenza tra un regista prigioniero delle proprie esangui scelte estetiche (Tran) e uno che invece vuole fare i conti con la propria storia e le proprie ambizioni (Moretti), pronto a mettersi in discussione anche a costo di ammettere i propri errori e le proprie sconfitte. Uno è vero cinema, l’altro è solo un esercizio di eleganza formale.