Chi finanzia gli esibizionisti?
Ha fatto bene Massimo Gramellini a scrivere, parlando degli esibizionisti social coinvolti nella morte di un bambino a Roma: « Mi accontenterei che le aziende, grandi e piccole, smettessero di finanziarli » . Ricordo di aver scritto lo stesso, durante la pandemia, a proposito di alcuni siti che diffondevano pericolose follie. Più erano folli, più la gente — gente ingenua, gente curiosa, gente sciocca — andava a cliccarci sopra. Molti clic, molta pubblicità, molti soldi.
Senza i denari della pubblicità, certi siti e certi account social non stanno in piedi. Esistono infatti solo per quello: per far soldi. Per « monetizzare » , come si dice adesso, con un odioso neologismo. L’idea che sia possibile ricavare un reddito dalle proprie idiozie è pericolosa. Ma ditelo a YouTube, ditelo a Instagram, ditelo a Tik Tok, ditelo a OnlyFans: risponderanno che loro non c’entrano. Anzi, fanno il possibile affinché certe cose non accadano. Non è vero, ovviamente. Ma convincerli del contrario è lungo e faticoso.
Più rapido è convincere le aziende a restare alla larga da certi postacci. Non c’è bisogno di minacciare un boicottaggio, l’imbarazzo basta e avanza. Quando scrissi, qui sul Corriere della Sera, i nomi dei marchi — alcuni notissimi — che apparivano con banner e video su siti ributtanti ( mantenendoli e accreditandoli), alcuni risposero che gli dispiaceva, ma la « pubblicità programmatica » era neutra, finiva a caso nei luoghi più frequentati della rete. Alcune aziende, però, capirono: Vodafone, per esempio, decise di evitare certi automatismi pubblicitari, che rischiavano di comprometterne la reputazione. Spero, che in tre anni, non abbia cambiato idea.
I soldi: l’unico vocabolo che certe teste di mogano capiscono. Il codice penale, purtroppo, è lento, le novità tecnologiche corrono più veloci della legislazione. Togliere risorse a certi personaggi è, invece, un modo efficace di disinnescarli. Se noi utenti resistiamo alla curiosità di cliccare sulle oscenità esibizionistiche, e le aziende badano alla destinazione degli investimenti pubblicitari, forse qualcosa si riesce a fare. Altrimenti è solo il solito grande blahblah, in attesa della prossima tragedia.