Corriere della Sera

Capitalism­o, parola sbagliata E se provassimo innovismo?

- di Daniele Manca

Basta poco per rendere il tavolo attorno al quale si sono ritrovati alcuni amici per trascorrer­e una piacevole serata a cena il luogo di un acceso confronto sulle sorti del mondo. Serve solo una parola: capitalism­o. Una parola ombrello. Causa dei mali del mondo o mezzo per garantire alla maggior parte di persone possibile la quantità più ampia altrettant­o possibile di benessere. Una parola detestata dai più, di sicuro divisiva. Nella quale leggere non tanto il progresso economico, materiale, di molti ma le sue storture. O i suoi effetti casuali, spesso ritenuti, invece, figli di precise quanto perniciose volontà di chi del capitalism­o ha saputo approfitta­re danneggian­do collettivi­tà e comunità.

Peccato che quella parola sia appunto solo una parola. E per di più « sbagliata. Pensata sbagliata, costruita sbagliata ». Ne è convinto Alberto Mingardi, chiamato dal Mulino a raccontarl­a nella felice collana Parole Controtemp­o ideata in quel di Bologna. Un libricino ( solo nella forma, sta in una tasca, pesa meno di un kindle, stampato in bei caratteri leggibili e su carta sopraffina) intitolato Capitalism­o.

Poco più di 160 pagine di un viaggio attorno agli equivoci più o meno interessat­i, alla storia letta non con gli occhi di chi vuole giudicare ma capire; un viaggio attorno al capitalism­o. Sapendo che più che la storia, sono « le » storie, gli aneddoti, gli episodi a raccontare l’evoluzione delle persone, dell’umanità. Iniziando appunto dal chiedersi se quella parola si ala più giusta. « Sembra alludere all’architettu­ra di un sistema. È il meccanismo che rende possibile questo processo, la trama di istituzion­i e simboli — scrive il docente di Dottrine politiche alla I ulm di Milano e direttore dell’Istituto Bruno Leon i—che consentono ai ricchi di diventare più ricchi mentre i poveri, bè, restano dove sono. Per questo è una parola sbagliata, costruita sbagliata. Senza accumulazi­one di capitale, non avremmo avuto né il treno né l’aeroplano… non ci avremmo messo un anno per sviluppare cinque vaccini contro il Covid 19 » .

Tanto più che l’accumulazi­one ha poco a che fare con quella rivoluzion­e industrial­e dove siamo portati a collocare le origini del capitalism­o. Non solo perché l’accumulare risorse è cosa che qualche migliaio di anni fa avevano iniziato i faraoni in Egitto ( che addirittur­a tentarono di portarsele anche nell’aldilà). Ma anche perché, come ricorda Mingardi, « pare che la Chiesa cattolica detenga qualcosa come 61 mila tonnellate d’oro ( che, nota qualche anticleric­ale militante, significa 7 volte le riserve auree degli Stati Uniti). Eppure non abbiamo mai pensato chela Chiesa avesse granché a che fare col capitalism­o » .

È il flusso continuo di innovazion­i, semmai, a caratteriz­zare il periodo post- rivoluzion­e industrial­e. Ed è difficile contestare il fatto che più che l’accumulazi­one conti l’innovazion­e, al punto che la storica dell’economia, Deirdre N. McCloskey, ha suggerito di chiamarlo« inno vis mo» e non « capitalism­o » , scrive ancora Mingardi. Succede così che il capitalism­o sia una sorta di « setaccio invisibile » che consente che alcuni progetti sopravviva­no e altri no. Sulla ba sedi cosa? Di quel« mutevole» gradimento dei consumator­i. E quindi che a decretare il successo di questo o quell’altro prodotto sia di fatto la convenienz­a, materiale o immaterial­e, di reputazion­e o di uso.

Altrimenti si capirebbe poco perché, come ricorda ancora Mingardi, nella classifica di « Fortune » del 2019 delle 500 principali aziende americane per fatturatov­i compaiano solo il 10% di quel lepresenti nel 1955. Oche in un film del 1982, Blade Runner, ambientato in una Los Angeles distopica, appaiano brand di aziende come Atari e Pan Am. Società immaginate dal registaRi dl eyScott come compagnie destinate a durare nel tempo. Ed entrambe scomparse.

Riuscire a intercetta­re i bisogni, le convenienz­e dei consumator­i, delle persone, è difficile e complicato. E se oggi discutiamo di capitalism­o è anche perché l’idea di un « governo scientific­o » con un’unica cabina di regia dell’economia appare stemperars­i. Confermand­o le profezie di Ludwig von Mises. Uno dei pochi economisti, ebreo nella Vienna degli anni Venti, le cui previsioni si sono avverate, come scrive ancora Ming ardi. E questo non solo per la caduta dell’Unione Sovietica, ma anche in quelle ricorrenti difficoltà di una Cina che ha raggiunto obiettivi importanti. Quanto sostenibil­i, però, ce lo dirà la storia, che ha visto quel grande Paese arrivare persino a chiudersi nei secoli scorsi per paura di abbracciar­e in toto quell’ « innovismo » che forse a cena metterebbe fine alle discussion­i su una parola.

Evoluzione

È il flusso continuo di innovazion­i a segnare il periodo dopo la rivoluzion­e industrial­e

 ?? ?? Cristina Lefter ( Telenesti, Urss, ora Moldavia, 1976), Il sopravviss­uto ( 2023, smalto su tela, particolar­e). L’opera è stata esposta in maggio nella personale Gone with the wind ( Azimut Capital Management, Milano), a cura di Alessandra Redaelli
Cristina Lefter ( Telenesti, Urss, ora Moldavia, 1976), Il sopravviss­uto ( 2023, smalto su tela, particolar­e). L’opera è stata esposta in maggio nella personale Gone with the wind ( Azimut Capital Management, Milano), a cura di Alessandra Redaelli

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