Le 144 modifiche, parte il vero negoziato per avere tutti i fondi
Il nodo dei 6 miliardi «tagliati» sull’efficienza energetica
«Vasi comunicanti» e ROMA «negoziato preventivo». Sono le due formule con le quali il governo cerca di uscire dal cul-de-sac dove rischiava di finire il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dopo le tante difficoltà emerse in questi mesi e che lo stesso esecutivo attribuisce ai precedenti: il Conte 2, che chiese tutti i soldi a disposizione, e quello Draghi che, secondo il centrodestra, riempì il piano di 527 interventi senza fare i conti con le reali capacità del Paese.
La formula dei «vasi comunicanti» serve a Palazzo Chigi e in particolare al ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che l’ha coniata, per tenere a bada il fronte interno, cioè le tensioni con gli altri ministri e con i sindaci, in particolare quelli che hanno dovuto rinunciare a investimenti importanti, con la promessa che saranno recuperati a valere su fondi diversi dal Pnrr. In pratica, sapendo che per salvare il Piano si sarebbero dovuti togliere dallo stesso una serie di interventi, per evitare le proteste degli interessati si dice che non si tratta di tagli perché le opere saranno finanziate con i fondi di coesione e sviluppo e, se necessario, anche col fondo complementare allo stesso Pnrr; fondi che non scadono nel 2026 e, soprattutto, non prevedono gli stringenti controlli da parte dei funzionari di Bruxelles.
La formula del «negoziato preventivo» serve invece a recuperare tempo sulle stesse verifiche che la commissione Ue fa sul conseguimento del pacchetto di obiettivi previsti di semestre in semestre. Una via che il governo ha già sperimentato quando, qualche settimana fa, ha approvato in cabina di regia le proposte di modifica a 10 dei 27 target assegnati dal Pnrr per il primo semestre di quest’anno. Proposte che sono state subito inviate alla commissione europea che ieri le ha approvate, in tempi abbastanza rapidi quindi, proprio perché, sottolinea Fitto, esse erano state preventivamente concordate in sede tecnica con la stessa commissione. Questo stesso modus operandi il governo intende seguire per i prossimi sei semestri, fino al 30 giugno 2026. Ecco perché le 148 pagine del documento che riscrive il Piano, approvate giovedì in cabina di regia, riformulano ben 144 obiettivi dei 349 rimanenti, da oggi fino al 2026, quando il Pnrr avrà termine.
Eliminando investimenti che già si sa non verrebbero completati in tempo (per esempio, i 6 miliardi di euro per i progetti di efficientamento energetico dei Comuni) e riformulando la tempistica di quelli che magari sono in ritardo ma possono essere recuperati strada facendo (per esempio, i nuovi posti negli asili nido e negli studentati) il governo punta a evitare quello che è successo con la terza rata del Pnrr, relativa ai 55 obiettivi assegnati per il secondo semestre 2022 (nel passaggio dunque tra il governo Draghi e quello Meloni): scoprire cioè, a ridosso della scadenza, di essere in ritardo; provare a metterci una pezza (per esempio, rendicontando parte dei posti letto per studenti universitari come nuovi mentre erano preesistenti) ma, così facendo, affrontare una lunga e complessa fase di verifica da parte della commissione Ue. Tanto è vero che essa non è durata i canonici due mesi e, dopo sette mesi, l’Italia ha appena ottenuto il via libera preliminare al pagamento di 18,5 miliardi (mezzo miliardo in meno dei 19 iniziali, dopo l’ultimo compromesso con Bruxelles). Insomma, il governo è consapevole di presentarsi alla commissione con una mole di proposte di modifica del Pnrr molto importante (investono il 41% dei target restanti). Sa anche che alcune proposte sono difficili da far digerire a Bruxelles: da quella sul definanziamento di 1,3 miliardi per la lotta al dissesto idrogeologico a quella sul taglio degli obiettivi di riduzione dell’evasione fiscale. Sa, in definitiva, che dovrà affrontare un complesso negoziato con la commissione Ue, che si esprimerà entro il 31 dicembre, ed è pronto, come ha detto Fitto, ai necessari «compromessi».
Ma se l’operazione andrà in porto, continua il ministro, una volta ricalibrato il Piano alla luce di tutti i problemi di fattibilità emersi in questi due anni, dovrebbe essere più semplice centrare i target rivisti e corretti e, di conseguenza, tornare ai normali tempi delle verifiche semestrali, senza più la via crucis nella quale siamo finiti con la terza e la quarta rata. La scommessa è ambiziosa. E, di certo, dopo la riscrittura del Pnrr il governo non potrà più ricorrere all’alibi che «questo non è il nostro Piano, non l’abbiamo scritto noi». Da oggi, sotto esame, è il governo Meloni.