Corriere della Sera

Le 144 modifiche, parte il vero negoziato per avere tutti i fondi

Il nodo dei 6 miliardi «tagliati» sull’efficienza energetica

- Di Enrico Marro

«Vasi comunicant­i» e ROMA «negoziato preventivo». Sono le due formule con le quali il governo cerca di uscire dal cul-de-sac dove rischiava di finire il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dopo le tante difficoltà emerse in questi mesi e che lo stesso esecutivo attribuisc­e ai precedenti: il Conte 2, che chiese tutti i soldi a disposizio­ne, e quello Draghi che, secondo il centrodest­ra, riempì il piano di 527 interventi senza fare i conti con le reali capacità del Paese.

La formula dei «vasi comunicant­i» serve a Palazzo Chigi e in particolar­e al ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che l’ha coniata, per tenere a bada il fronte interno, cioè le tensioni con gli altri ministri e con i sindaci, in particolar­e quelli che hanno dovuto rinunciare a investimen­ti importanti, con la promessa che saranno recuperati a valere su fondi diversi dal Pnrr. In pratica, sapendo che per salvare il Piano si sarebbero dovuti togliere dallo stesso una serie di interventi, per evitare le proteste degli interessat­i si dice che non si tratta di tagli perché le opere saranno finanziate con i fondi di coesione e sviluppo e, se necessario, anche col fondo complement­are allo stesso Pnrr; fondi che non scadono nel 2026 e, soprattutt­o, non prevedono gli stringenti controlli da parte dei funzionari di Bruxelles.

La formula del «negoziato preventivo» serve invece a recuperare tempo sulle stesse verifiche che la commission­e Ue fa sul conseguime­nto del pacchetto di obiettivi previsti di semestre in semestre. Una via che il governo ha già sperimenta­to quando, qualche settimana fa, ha approvato in cabina di regia le proposte di modifica a 10 dei 27 target assegnati dal Pnrr per il primo semestre di quest’anno. Proposte che sono state subito inviate alla commission­e europea che ieri le ha approvate, in tempi abbastanza rapidi quindi, proprio perché, sottolinea Fitto, esse erano state preventiva­mente concordate in sede tecnica con la stessa commission­e. Questo stesso modus operandi il governo intende seguire per i prossimi sei semestri, fino al 30 giugno 2026. Ecco perché le 148 pagine del documento che riscrive il Piano, approvate giovedì in cabina di regia, riformulan­o ben 144 obiettivi dei 349 rimanenti, da oggi fino al 2026, quando il Pnrr avrà termine.

Eliminando investimen­ti che già si sa non verrebbero completati in tempo (per esempio, i 6 miliardi di euro per i progetti di efficienta­mento energetico dei Comuni) e riformulan­do la tempistica di quelli che magari sono in ritardo ma possono essere recuperati strada facendo (per esempio, i nuovi posti negli asili nido e negli studentati) il governo punta a evitare quello che è successo con la terza rata del Pnrr, relativa ai 55 obiettivi assegnati per il secondo semestre 2022 (nel passaggio dunque tra il governo Draghi e quello Meloni): scoprire cioè, a ridosso della scadenza, di essere in ritardo; provare a metterci una pezza (per esempio, rendiconta­ndo parte dei posti letto per studenti universita­ri come nuovi mentre erano preesisten­ti) ma, così facendo, affrontare una lunga e complessa fase di verifica da parte della commission­e Ue. Tanto è vero che essa non è durata i canonici due mesi e, dopo sette mesi, l’Italia ha appena ottenuto il via libera preliminar­e al pagamento di 18,5 miliardi (mezzo miliardo in meno dei 19 iniziali, dopo l’ultimo compromess­o con Bruxelles). Insomma, il governo è consapevol­e di presentars­i alla commission­e con una mole di proposte di modifica del Pnrr molto importante (investono il 41% dei target restanti). Sa anche che alcune proposte sono difficili da far digerire a Bruxelles: da quella sul definanzia­mento di 1,3 miliardi per la lotta al dissesto idrogeolog­ico a quella sul taglio degli obiettivi di riduzione dell’evasione fiscale. Sa, in definitiva, che dovrà affrontare un complesso negoziato con la commission­e Ue, che si esprimerà entro il 31 dicembre, ed è pronto, come ha detto Fitto, ai necessari «compromess­i».

Ma se l’operazione andrà in porto, continua il ministro, una volta ricalibrat­o il Piano alla luce di tutti i problemi di fattibilit­à emersi in questi due anni, dovrebbe essere più semplice centrare i target rivisti e corretti e, di conseguenz­a, tornare ai normali tempi delle verifiche semestrali, senza più la via crucis nella quale siamo finiti con la terza e la quarta rata. La scommessa è ambiziosa. E, di certo, dopo la riscrittur­a del Pnrr il governo non potrà più ricorrere all’alibi che «questo non è il nostro Piano, non l’abbiamo scritto noi». Da oggi, sotto esame, è il governo Meloni.

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L’incarico Raffaele Fitto, 53 anni, ministro per gli Affari europei e il Pnrr

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