Corriere della Sera

PARTITA PNRR CHI HA VINTO E CHI HA PERSO

- Di Federico Fubini

Èdifficile contestare che ogni euro del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) vada speso in modo che generi il maggior valore possibile. Anche a costo di cambiare. Perché, nella sua diabolica difficoltà, l’intero Piano sta dando frutti prima ancora di spendere i fondi. Per politici e burocrati, è una ginnastica spietata. Spinge tutti a motivare le scelte con trasparenz­a. Obbliga ciascuno a giustifica­re il lavoro sulla base dei risultati. Gli effetti si vedono già in una qualità degli scambi fra Roma e Bruxelles che, nei mesi, è gradualmen­te ma visibilmen­te migliorata. Il diavolo del Pnrr però si nasconde nei dettagli, perché era chiaro dall’inizio che una revisione avrebbe fatto vincenti e perdenti. A volte quelli giusti, altre volte forse no. È positivo per esempio che i progetti di indipenden­za energetica di Eni, Enel, Snam o Terna — le grandi società a controllo pubblico — ora siano ancorati nel Piano con «RePowerEU». Resta da capire però se è stato corretto far uscire dal Pnrr la prospettiv­a di una produzione meno inquinante di acciaio a Taranto. O se l’aver espunto intere linee destinate ai Comuni — la rigenerazi­one urbana, i «piani integrati» contro il degrado — si rivelerà la scelta giusta. I Comuni, in buona parte guidati da sindaci d’opposizion­e, sostengono che i loro progetti non erano in ritardo. Il governo risponde rassicuran­do: ciò che esce dal Pnrr sarà coperto con fondi nazionali. Ma poiché questi ultimi presuppong­ono nuove emissioni di debito ad alto costo, non era meglio lasciare quei piani nel Pnrr e finanziare RePowerEU con i prestiti europei in offerta a costi molto più bassi? La revisione del Pnrr rivela poi altri vincenti e perdenti. Fra questi ultimi, gli imprendito­ri che le tasse le pagano tutte: il governo spiega nel suo documento che gli obiettivi di lotta all’evasione del Piano sarebbero fuori portata, perché certe imprese non avrebbero la liquidità che serve per pagare il dovuto.

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