PARTITA PNRR CHI HA VINTO E CHI HA PERSO
Èdifficile contestare che ogni euro del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) vada speso in modo che generi il maggior valore possibile. Anche a costo di cambiare. Perché, nella sua diabolica difficoltà, l’intero Piano sta dando frutti prima ancora di spendere i fondi. Per politici e burocrati, è una ginnastica spietata. Spinge tutti a motivare le scelte con trasparenza. Obbliga ciascuno a giustificare il lavoro sulla base dei risultati. Gli effetti si vedono già in una qualità degli scambi fra Roma e Bruxelles che, nei mesi, è gradualmente ma visibilmente migliorata. Il diavolo del Pnrr però si nasconde nei dettagli, perché era chiaro dall’inizio che una revisione avrebbe fatto vincenti e perdenti. A volte quelli giusti, altre volte forse no. È positivo per esempio che i progetti di indipendenza energetica di Eni, Enel, Snam o Terna — le grandi società a controllo pubblico — ora siano ancorati nel Piano con «RePowerEU». Resta da capire però se è stato corretto far uscire dal Pnrr la prospettiva di una produzione meno inquinante di acciaio a Taranto. O se l’aver espunto intere linee destinate ai Comuni — la rigenerazione urbana, i «piani integrati» contro il degrado — si rivelerà la scelta giusta. I Comuni, in buona parte guidati da sindaci d’opposizione, sostengono che i loro progetti non erano in ritardo. Il governo risponde rassicurando: ciò che esce dal Pnrr sarà coperto con fondi nazionali. Ma poiché questi ultimi presuppongono nuove emissioni di debito ad alto costo, non era meglio lasciare quei piani nel Pnrr e finanziare RePowerEU con i prestiti europei in offerta a costi molto più bassi? La revisione del Pnrr rivela poi altri vincenti e perdenti. Fra questi ultimi, gli imprenditori che le tasse le pagano tutte: il governo spiega nel suo documento che gli obiettivi di lotta all’evasione del Piano sarebbero fuori portata, perché certe imprese non avrebbero la liquidità che serve per pagare il dovuto.