Il teorema matematico diventa arte Lucio Saffaro, rotta verso il mistero
Laureato in Fisica pura, pittore, scrittore, poeta e matematico. Il percorso di Lucio Saffaro (Trieste, 1929- Bologna, 1998), protagonista a Bologna (a Palazzo Fava) della mostra Viaggio verso l’ignoto. Lucio Saffaro tra arte e scienza (fino al 24 settembre), sembra assomigliare per certi versi a quello di Mario Nigro (1917-1992): entrambi sono costantemente in bilico tra pittura, musica e ricerca scientifica (Nigro, laureato in Chimica e in Farmacia, è a sua volta protagonista di una personale a Milano, al Museo del Novecento e a Palazzo Reale, fino al 17 settembre).
La personale curata da Claudio Cerritelli e Gisella Vismara, promossa dalla Fondazione Lucio Saffaro e Genus Bononiae, definisce attraverso un centinaio di opere (dipinti, grafiche, disegni, libri, cataloghi) l’immaginario geometrico di Saffaro in tutte le sue sfaccettature (al di là dell’imperscrutabilità di certi titoli, altro elemento che lo accomuna a Nigro). Dalla fase giovanile, forse la meno conosciuta, alle forme elegantemente poliedriche della maturità che sembrano anticipare certi esercizi della pittura digitale contemporanea (solo che Saffaro lavorava di pennello e non di computer): L’identificazione della realtà / Isokrator (1955); Basilikades (1957); Opus CLXIV (1971); I poliedro M2 (1985); Lo Specchio di Vermeer (1987); La Stella di Origene (1991).
A completare il percorso si aggiungono il documentario Lucio Saffaro. Le forme del pensiero, realizzato nel 2014 da Giosuè Boetto Cohen, e una serie di scatti inediti di Nino Migliori (recentemente ritrovati in archivio proprio dal fotografo bolognese) che aveva ritratto l’amico Lucio negli anni Settanta. Ma la mostra, seguendo una tendenza di recente sperimentata con successo in occasione degli anniversari della morte del Perugino e di Signorelli, invita a ricercare le tracce di Saffaro anche oltre Palazzo Fava, anche dopo l’esposizione: ad esempio nel Museo del cielo e della terra di San Giovanni in Persiceto, alle porte di Bologna, che dal 2021 accoglie sette olii, quaranta litografie incorniciate e 93 disegni di Lucio Saffaro.
Identificazioni simboliche, monumenti e ritratti immaginari, visioni allegoriche, poliedri, dodecaedri e tetraedri canonici, dimensioni del pensiero creativo, immagini metafisiche ed emblemi del tempo infinito: non è ancora oggi facile trovare una giusta definizione per Saffaro, che non ha mai voluto rimanere incasellato nel ruolo di «artistamatematico» e che ha sempre voluto lavorare ai confini (e in continuità, mai in contrapposizione) tra arte e scienza. Giocando su un’idea di ricerca artistica che potrebbe apparire scientifica: La Pianura di Talete, 1980; Il poliedro di Estella n 857, 1978; Il grande iperottaedro n 691, 1967; La sfera aulonare n 692, 1967.
Sono opere che assomigliano (già dal titolo) a teoremi matematici, che raccontano un classicismo profondamente italiano e rinascimentale che richiama alla memoria il Ritratto di Luca Pacioli con un allievo (1495 circa) attribuito a Jacopo de’ Barbari, oggi al Museo nazionale di Capodimonte di Napoli, ma che non rinnega le proprie origini triestine (nella primavera 2022 il Museo Revoltella aveva dedicato a Saffaro la mostra Ritorno a Trieste. Lucio Saffaro tra arte e scienza).
È una miscela che appare particolarmente evidente nelle ricorrenti (soprattutto nel periodo giovanile) figure e immagini simboliche del mare, delle onde e dell’orizzonte, elementi che evocano appunto l’appartenenza di Saffaro alla cultura mitteleuropea. A rendere coerente il percorso dell’artista contribuiscono «tempo, spazio, essere e tristezza», nuclei costanti della sua opera, dai primi e poco conosciuti disegni ed olii su tela, appartenenti ad un’originale idea di «metafisica», fino ai quadri e alle grafiche dove emerge la sua perenne esplorazione dell’enigmatico e all’ignoto. Una ricerca che ruota attorno alle sagome degli straordinari poliedri che Saffaro ha inventato con l’animo artistico di un matematico.