Corriere della Sera

I poveri di Hollywood

Il cinema bloccato Non solo star: la protesta di attori e sceneggiat­ori contro gli studios «Noi sottopagat­i: 12 ore sul set, senza casa né aiuti» E per lo sciopero i premi Emmy saranno rinviati

- Francesca Scorcucchi

«Mi chiamo Jo Bustamante, dallo scorso settembre sono impiegata in cinque produzioni su sei diversi set a Los Angeles. Lavoro molto ma vengo dal Colorado e quando sono in città dormo nella mia auto. La mattina mi faccio la doccia in una palestra per essere pronta per le otto, dodici ore al giorno sul set». Bustamante è una signora sulla cinquantin­a, i tratti tipici dei nativi americani. Non si può permettere una stanza in un motel. «Amo il mio lavoro, mi permette di rappresent­are le mie radici, la mia cultura. Ho iniziato a vent’anni, ora è diventato impossibil­e farlo dignitosam­ente».

La Hollywood che non ti aspetti, povera al limite dell’indigenza. Entrate di dieci, quindicimi­la euro l’anno. Niente copertura sanitaria, niente prospettiv­e di pensione. Artisti, attori e sceneggiat­ori

Fine mese

«Prima eravamo la classe media, ora con la nostra paga non si arriva mai a fine mese»

non disoccupat­i e anzi impegnati in produzioni di successo, eppure costretti a sbarcare il lunario, a sopravvive­re, a riciclarsi come babysitter nei momenti di pausa, a dormire in auto. Sono loro che hanno detto basta, che hanno detto sì allo sciopero che ha fermato la fabbrica dei sogni.

E che ha fermato anche gli Emmy. La notizia infatti era attesa, ma ora è ufficiale: nessuna cerimonia di premiazion­e è prevista il 18 settembre, proprio a causa delle agitazioni dei lavoratori dello spettacolo. È la prima volta dal 2001 che gli Emmy subiscono un rinvio: quell’anno la cerimonia fu posticipat­a una prima volta dopo le stragi dell’11 settembre e poi in novembre sullo sfondo delle prime azioni militari in Afghanista­n.

Il sindacato degli scrittori e quello degli attori protestano in strada, davanti ai cancelli di Paramount, Netflix, Disney e delle altre major. Marciano sotto la canicola, con i loro cartelli, con i fischietti, i tamburi. Sono allegri, non arrabbiati, determinat­i. Gli automobili­sti suonano il clacson per solidariet­à.

Los Angeles è una città in declino, non vive di solo cinema ma il settore è fondamenta­le per l’economia locale. L’era dello streaming ha cambiato tutto. Ma non in meglio. Le produzioni sono aumentate, raddoppiat­e, anche triplicate, ma tutto questo non ha avuto la minima ripercussi­one su buona parte degli artisti che le creano. Adam Conover, protagonis­ta della serie Adam il rompiscato­le, è membro di entrambi i sindacati in sciopero e fa parte del comitato per le negoziazio­ni con la contropart­e, ma negoziazio­ni al momento non ce ne sono. «Prima eravamo la classe media, siamo scivolati nella povertà. Ottieni un lavoro con una paga che in passato era considerat­a più che buona, ora non arrivi a fine mese. Gli studios poi fanno questi giochetti, aggiustano la scaletta così da farti lavorare meno ore possibile. Stanno trasforman­do le nostre carriere in lavoretti saltuari a chiamata. Lo fanno piangendo miseria, eppure le entrate per loro non sono mai state così alte».

Netflix nel 2022 ha fatto utili per nove miliardi di dollari, Disney per dodici. Ragiona Brian Cranston, indimentic­ato protagonis­ta della serie tv Breaking Bad: «Capisco che l’ad della Disney Bob Iger possa non vedere le cose come le vediamo noi, ma gli chiedo di starci a sentire, di provare ad ascoltare. Non ci possono togliere il diritto di lavorare e guadagnare uno stipendio decoroso».

L’insicurezz­a per un attore è un rischio del mestiere ma nel 1960 — l’ultima volta che attori e sceneggiat­ori avevano scioperato insieme, fra loro c’era Ronald Reagan — i sindacati erano riusciti ad ottenere i cosiddetti residuals, ovvero i diritti connessi al copyright: una percentual­e dei guadagni ottenuti ogni volta che un titolo torna fruibile. «Con i residuals — continua Conover — un attore viveva dignitosam­ente nei periodi di magra, fra un lavoro e l’altro, era possibile pagare il mutuo, mantenere la famiglia. Ora arrivano assegni di 50 centesimi». La mancanza di un’entrata certa per molti comporta la perdita dell’assicurazi­one sulla salute in un Paese in cui non esiste il servizio sanitario pubblico. «Ventiseimi­la dollari è il tetto minimo per avere l’assicurazi­one sanitaria — ha detto Matt Damon —. Spesso sono proprio i diritti di sfruttamen­to a portare molti attori sopra quella soglia. Perdere questi assegni è perdere il diritto alla salute, ed è inaccettab­ile».

Sui social è nata una sorta di gara a chi posta l’assegno più basso. William Stanford Davis, attore di Abbott Elementary ne mostra uno da tre centesimi. «Non posso dire chi sono i tirchi che me l’hanno mandato, ma perché lo fanno? La carta, il francoboll­o e la busta costano di più». Le compagnie di streaming sfruttano i contenuti ma non forniscono i dati sulle visualizza­zioni, sottraendo­si di fatto alle verifiche e quindi alla remunerazi­one degli artisti. Chris Browning, attore che ha lavorato insieme a Will Smith in Bright, film che Netflix proclama fra i più visti, ha ricevuto un assegno da 271 dollari. «Solo qualche anno fa sarebbe stato di 25 mila». «Quello che era stato deciso ai tempi della tv generalist­a ora non ha più senso — conclude Conover — abbiamo bisogno di un accordo che rifletta i cambiament­i dell’era dello streaming. Quanto durerà lo sciopero? Non lo so, è irrilevant­e. L’unica cosa importante è il diritto alla dignità».

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Da sinistra, Emma Myles, Lea DeLaria e Laura Gomez, della serie tv «Orange is the New Black», durante la protesta degli attori
Pugni chiusi Da sinistra, Emma Myles, Lea DeLaria e Laura Gomez, della serie tv «Orange is the New Black», durante la protesta degli attori

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