Corriere della Sera

Tecnologia, migranti, lavoro e welfare: 15 ricette contro il gelo demografic­o

L’Italia, con il Giappone, è il Paese più vecchio al mondo. Il dibattito a Cernobbio

- Di Daniela Polizzi

Il Paese più vecchio d’Europa e addirittur­a del mondo, a fianco del Giappone. Con un tasso di dipendenza dagli anziani del 37,5% contro una media del Continente pari al 33%. L’Italia finisce così in fondo alla classifica della natalità, con 6,8 figli ogni mille abitanti, ultima posizione nell’Ue. L’Italia rischia «l’inverno demografic­o» con impatti importanti a livello sociale ed economico. «Con il risultato che il numero di italiani è destinato a scendere da 59 a 51 milioni con un impatto nel 2050 pari a una perdita di un terzo del Pil. L’Italia è il Paese peggiore in Europa insieme alla Spagna. E lo è anche per tasso di natalità che nel 2022 ha raggiunto il minimo storico di nuovi nati, scesi sotto la soglia di 400 mila nuovi bambini», dice Valerio De Molli, managing partner e ceo di TEHA, dando la sintesi di un quadro drammatico. Per migliorare il quale però si possono pensare alcuni interventi. Quindici in tutto, secondo lo studio che sarà presentato domani a Cernobbio al Forum The European House-Ambrosetti (TEHA). «La Rinascita: come invertire il trend demografic­o a beneficio del futuro del Paese». Si tratta di ricette elaborate dagli esperti di TEHA con gli advisor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale, dell’Università Cattolica, e la sociologa Chiara Saraceno.

Di calo demografic­o discuteran­no domani Renato Brunetta, presidente del Cnel, e la ministra del Lavoro Marina Calderone. «Se proiettiam­o in avanti i livelli di fertilità di una donna, scesi del 65% in 50 anni, e mettiamo assieme l’anagrafica dell’invecchiam­ento dell’Istat scopriamo che l’ultimo figlio italiano nascerà nel 2225 — dice De Molli —. È una provocazio­ne ma dà il senso dell’urgenza». Tra le 15 proposte, accelerare sull’immigrazio­ne, portando subito a 250 mila la quota massima di ingressi all’anno, poi sviluppare una politica di attrazione di immigrati qualificat­i. E ancora, favorire l’allungamen­to della vita lavorativa, almeno in una prima fase. Anche la tecnologia può avere un ruolo con l’inseriment­o della filiera della robotica e dell’automazion­e tra quelle a valere sui fondi stanziati nell’ambito dei contratti o accordi di sviluppo. C’è l’aspetto sociale con gli investimen­ti necessari nelle politiche di conciliazi­one vita-lavoro «in un’ottica di promozione della genitorial­ità», dice lo studio che sottolinea la necessità di intervenir­e in uno scenario mutato. Pesano sui giovani e le famiglie l’incertezza dello scenario economico, l’instabilit­à e quindi la paura. Le difficoltà del Paese, — inclusi affitti alti e i salari fermi — si riflettono sulle persone e sulla loro visione del futuro. Con il doppio effetto che anche la mobilità sociale si ferma. La conclusion­e? La natalità è un tema sistemico e non si risolve solo con provvedime­nti come l’assegno unico. «Se ipotizziam­o i tassi di crescita del Pil al 2050 previsti dal Mef in uno scenario con circa 8 milioni in meno — dice De Molli — la produttivi­tà dovrebbe raddoppiar­e. È un obiettivo irraggiung­ibile senza un profondo ridisegno del modello economico del Paese».

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