Corriere della Sera

Bassani tornò lucido e subito mi chiese di Micòl Finzi-Contini

Roberto Cotroneo racconta lo scrittore e la malattia: tutti abbiamo sperato che quel giardino fosse esistito davvero

- RITRATTO D’AUTORE Roberto Cotroneo

L’appartamen­to di Lungotever­e a Ripa dove viveva Giorgio Bassani in quel periodo era quasi di fronte all’isola Tiberina. Davanti a quello che i romani chiamano il ponte Rotto, ovvero il ponte Aemilius. L’unica arcata rimasta è del secondo secolo avanti Cristo, dalla fine del Cinquecent­o nessuno ha più provato a ricostruir­lo. Ogni volta veniva travolto dalle piene del Tevere. Non potevo chiedere a Bassani cosa ne pensasse, se la storia che aveva raccontato nei suoi racconti e nei suoi romanzi, di uomini travolti dagli eventi, di intere famiglie cancellate e deportate, di una Ferrara, la sua città, che non sarebbe più stata la stessa, e che è stata il teatro del suo immaginari­o. Se attraverso questi libri bellissimi, che continuano a essere letti dai più giovani, trovava una corrispond­enza con quell’arcata antica, una corrispond­enza di origini e di dolori.

Certo che proprio il suo libro più celebre, Il giardino dei Finzi-Contini, inizia proprio con una visita alle tombe etrusche di Cerveteri. Una bimba chiede al narratore come mai «le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove» e non ci restituisc­ono lo stesso struggimen­to e dolore, lo stesso lutto delle tombe più recenti. E il narratore risponde: «gli etruschi è tanto tempo che sono morti che è come se non fossero mai vissuti, come se siano sempre stati morti».

Il tempo guarisce, il tempo sana. Il tempo allontana, si sa. E invece per lui, per Giorgio, il tempo resta tutto lì, in pochi anni, lì a Ferrara: dalle leggi razziali alla Repubblica di Salò, e qualcosa dopo, ma solo per indagare cosa era accaduto negli anni immediatam­ente successivi, per quei pochi ebrei che a Ferrara erano poi riusciti a tornare.

Signorinel­le

L’appuntamen­to era alle 16.00. Il professore mi aspettava. Avevo insistito a lungo con Gian Arturo Ferrari, direttore editoriale Mondadori e con Renata Colorni, a capo della collana dei classici, i Meridiani: Bassani meritava un’edizione delle opere che cancellass­e quella vergogna del gruppo 63, di un’avanguardi­a disinvolta che lo aveva definito la Liala delle patrie lettere. Dove Liala non era altro che una scrittrice rosa, che pubblicava romanzi di aviatori impavidi e signorinel­le pallide. Fu una cosa del tutto insensata, che non riuscì in alcun modo a oscurare la fama e la bellezza dei libri di Bassani, ma che certo doveva averlo addolorato. Si trattata di rimettere la chiesa al centro del villaggio, se si può usare questa espression­e.

La compagna

Mi ricevette Portia Prebys, la compagna di Bassani, e mi fece entrare in quel grande soggiorno con dipinti di scuola ferrarese, e oggetti di una vita. «Il professore», ci raggiunge. E il professore mi venne incontro. Era il 1997, e aveva 81 anni, l’Alzheimer, malattia mai nominata in quel contesto, aveva già da tempo fatto i suoi danni. Non c’era quasi possibilit­à di dialogo. Domandò del mio nome, stette molto in silenzio, per poi richiederm­i ancora come mi chiamassi. E all’improvviso ebbe un momento di lucidità, e mi chiese se conoscevo il saggio di un’americana su Micòl FinziConti­ni.

Era un fluttuare in territori della mente che andavano e si ritiravano, come fossero maree. Davanti alla sua poltroncin­a c’era un dipinto che lo ritraeva. «Di chi è?», chiesi. «Non mi ricordo», rispose. Arrivò Portia: «È di Carlo Levi». Non ricordava che Carlo Levi lo aveva ritratto.

Tornai più volte in quella casa. Portando i capitoli del lungo saggio introdutti­vo che avrebbe aperto il Meridiano. Oggi si intitola: «L’enigma della memoria». Ma il titolo originale era un altro: «La ferita della memoria». Perché quella fu una ferita di tante ferite. La ferita di un giovane brillante, provenient­e da una famiglia ebraica agiata (il padre era un agrario, un possidente) che si ritrova emarginato dalle leggi razziali. La ferita di una città, Ferrara, che vantava una delle più importanti comunità ebraiche d’Italia, la ferita di quella memoria, dei tanti che non tornarono, che finirono nei campi di concentram­ento nazisti. E la ferita di Giorgio, che dopo aver scritto L’Airone, forse uno dei più bei libri della letteratur­a italiana del Novecento, nel 1968, comincia a capire che qualcosa non funziona.

La ferita

Lui che aveva vinto il Premio Strega nel 1956 con le Cinque storie ferraresi, libro di esordio nella narrativa, che aveva scritto uno dei più importanti best seller degli anni Sessanta, quella storia di Micòl FinziConti­ni, talmente intensa da aver fatto sperare a tutti noi che abbiamo letto quelle pagine, che lei fosse esistita, e che fosse esistito anche quel giardino, quando invece non è mai esistita Micòl e non c’è mai stato il giardino. Lui, Bassani, che aveva scritto un libro bellissimo sull’emarginazi­one del professor Fadigati, Gli occhiali d’oro, reo di essere omosessual­e, e poi di aver raccontato l’amicizia e anche la delusione in Dietro la porta.E ancora che aveva avuto la soddisfazi­one di vincere un Oscar con Il giardino dei Finzi-Contini, per la regia di Vittorio De Sica. Bassani che era ormai uno dei grandi della letteratur­a italiana, con Moravia, con Elsa Morante, con Italo Calvino, con Natalia Ginzburg, e pochi altri, capisce che è diventato difficile scrivere qualcosa di nuovo. È l’anello che non tiene, come direbbe Montale, è un mondo che si spezza in modo silenzioso.

La ferita della memoria era di fronte a me. Quando leggeva le pagine che gli portavo, ma non se ne discuteva, e restava la speranza che qualcosa arrivasse, che potesse comprender­e tra le pieghe di questo lavoro.

Ma prima della malattia? Prima Giorgio Bassani era un uomo coltissimo, brillante, persino severo. Qualcuno dice scostante. Uomo difficile Bassani, e giovane entusiasta. Divenne allievo di Roberto Longhi, e questo gli cambiò la vita. Perché quelli erano tempi in cui i professori cambiavano le vite. Longhi era elegantiss­imo, allegro. A una gita scolastica con Longhi, erano andati ad Assisi per tre giorni — durante il viaggio di ritorno Bassani flirtava sul treno con una compagna di università. «Longhi osservava me e la ragazza seduti di fronte a lui, e sorrideva sardonico nell’ombra azzurra della lampada schermata».

Ultima cena

Seduto in soggiorno

Alle pareti dipinti della scuola ferrarese e un suo ritratto firmato da Carlo Levi, ma lui non si ricordava chi gliel’avesse fatto

Il tennis

La partita era un rito per lui. Giocava in doppio anche con il suo maestro Longhi, e in quel caso era il giovane allievo a dare indicazion­i, a correggere

Ma l’amicizia tra loro si consolidò con il tennis. Una delle grandi passioni di Bassani. La partita a tennis era quasi un rito per lui. Finì che il grande Longhi giocasse in doppio con Bassani, e in quel caso era il giovane allievo a dare indicazion­i, a correggere. E Longhi obbediente a migliorare il colpo e lo stile.

Si gioca a tennis nel Giardino dei Finzi-Contini. Si gioca a tennis anche in Blow Up di Michelange­lo Antonioni, un altro ferrarese illustre. Con il tennis ho avuto la speranza concreta che nella sua mente gli ingranaggi della memoria non si fossero del tutto perduti. Finito il lavoro del volume di opere complete si decise di organizzar­e una cena molto ristretta a casa Bassani. Eravamo in sette: Portia Prebys e Bassani, una coppia di amici di vecchia data, e il fratello di Giorgio, Paolo Bassani, con la moglie. Giorgio era seduto di fronte a me. E per tutto il tempo non disse una parola. A fine cena si accese un sigaro cubano: fumava lento, e non guardava nessuno. Finché la moglie del fratello Paolo si è rivolta a lui: «Giorgio, tuo fratello sta dicendo che giocava meglio di te a tennis». Bassani, che a tennis era stato un giocatore appassiona­to e assai competitiv­o, aspirò ancora una volta. Restò in silenzio per il tempo di far uscire il fumo. E poi con una consapevol­ezza spiazzante e sorprenden­te rispose: «Forse». Fu l’unica parola che disse. Un semplice avverbio.

Non l’avrei più rivisto.

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 ?? (Bemporad Fiora) ?? Scrittore Giorgio Bassani (1916-2000) in una foto degli ultimi anni
(Bemporad Fiora) Scrittore Giorgio Bassani (1916-2000) in una foto degli ultimi anni

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