La spesa con 8 carrelli in meno
Inflazione, le conseguenze per le famiglie La nuova povertà ora tocca il ceto medio «Working poor, uno stipendio non basta» Più colpite le persone sole, anziani e donne Rapporto Acli su 600mila dichiarazioni
Ipotizziamo che un carrello di spesa per una settimana costi 90 euro. Ecco, per visualizzare l’impatto dell’inflazione sugli italiani nell’ultimo triennio basta pensare che oggi una famiglia deve rinunciare ogni anno - facendo una media - a otto carrelli di spesa rispetto all’anno prima. Questo mentre l’aumento medio degli interessi sui mutui per la casa ha superato i mille euro. E ancora: in una Italia sempre più popolata di persone anziane e sole ci sono 14 ultrasettantenni uomini su cento in condizioni di «povertà relativa», il che sarebbe già tanto ma è niente rispetto al fatto che le donne over 70 nelle stesse condizioni sono sei volte di più, cioè 86 su cento. E comunque attenzione perché le due considerazioni più preoccupanti arrivano adesso.
La prima è che qui non stiamo parlando dei «poveri assoluti», cioè di quei pur drammaticamente famosi sei milioni di persone che ormai da anni si citano in ogni convegno sulla povertà in Italia. No, la povertà di cui parliamo qui è quella del più classico «ceto medio»: gente che fa la denuncia dei redditi, che un lavoro ce l’ha eccome, ma che è povera lo stesso. E infatti la seconda considerazione è la seguente: le cifre appena riportate - solo alcune fra le tante - non derivano dal solito «sondaggio a campione», nient'affatto, questi sono numeri veri. Perché sono quelli contenuti nei Modelli 730 effettivamente presentati da 602.566 famiglie concrete presso gli sportelli Caf delle Acli negli anni 2020-2023. E questo ha consentito di verificare, dentro le stesse realtà familiari, come sono davvero cambiate le cose da un anno all’altro. Un lavoro di confronto meticoloso, i cui risultati sono infine confluiti nel report stilato da Enrico Bagozzi, Alessandro Serini e Gianfranco Zucca per l’osservatorio nazionale famiglie e redditi di Acli in collaborazione con l'istituto di ricerche educative e formative.
Zucca è appunto un ricercatore dell’iref. E partendo dai numeri citati all’inizio, cui si aggiungono quelli del grafico qui a sinistra, li commenta così: «È naturale che l’impatto dell’inflazione sulle famiglie sia già stato evidenziato da tempo e da più parti. Ma dalla nostra ricerca emerge un fattore in più, vale a dire il tema drammatico della solitudine. Nel senso che in teoria, per vivere, dovrebbe non essere necessario lavorare in due. Se un lavoro ce l’hai, diciamo, dovresti poterti mantenere. Solo che la realtà oggi non è questa. E non lo è soprattutto nelle grandi città. Persone anziane da sole, o magari giovani ma separate o divorziate, o semplicemente giovani, se vivono per conto proprio non ci stanno dentro. E questo vale in modo esponenziale per le donne sole con figli a carico». Il ricercatore mette sul tavolo anche un tema di riflessione politica: «Giustissimo sostenere le famiglie numerose, ci mancherebbe. Il paradosso sarebbe se questo, come in realtà sta avvenendo, si traducesse in una penalizzazione delle famiglie unipersonali, che nella maggior parte dei casi non sono costituite da ricchi single benestanti ma da persone vedove, separate o divorziate, giovani che fanno i salti mortali per conquistarsi una indipendenza con stipendi sempre più bassi».
Lidia Borzì, delegata nazionale Acli alla famiglia, mette in fila gli effetti «a cascata» che i fattori appena elencati producono uno sull’altro: «Non dimentichiamo che l’inflazione, da noi ribattezzata “tassa invisibile”, si è abbattuta su famiglie già provate dal Covid. Poi è arrivata l’impennata dei mutui. Quindi la necessità di tagliare spese dove si poteva, e noi l’abbiamo visto nei 730: meno sport e attività per i figli, ma anche meno visite mediche, meno vita sociale, quindi aumento della solitudine, della rabbia, delle frustrazioni anche nei rapporti familiari. E questo, ripetiamo, è il ceto medio: la spina dorsale del Paese. Che succede se si schianta?».
È il problema «enorme» dei «working poor» che in verità riguarda non solo l’italia ma il mondo: lavori tutto il giorno, ma non arrivi a quel che dovrebbe essere il «salario di dignità». Nel 2020, stando ai 730 di quelle 600mila famiglie, in condizioni di povertà relativa ce n’erano un po’ più di 49mila. Da allora 15mila ne sono uscite, in compenso 24mila ci sono entrate. Oggi siamo a 58mila: quasi il 10% del totale. «E qui è stato già ricordato ma voglio ripeterlo: le donne anziane in difficoltà sono sei volte più degli uomini», è il richiamo di Lidia Borzì.
Che fare? Per la delegata Acli un punto è certo: «I vari bonus non bastano. Noi abbiamo incontrato parlamentari di ogni parte. E come altri esponenti della società civile, dal Forum nazionale delle famiglie all’alleanza contro la povertà, abbiamo detto una cosa chiara: le risposte devono essere di sistema, povertà e solitudine vanno a braccetto, gli interventi economici vanno studiati assieme a quelli sociali. Tutto è connesso, dice papa Francesco. Anche le soluzioni devono esserlo».
Gianfranco Zucca Giusto sostenere i nuclei numerosi, il paradosso sarebbe farlo a scapito dei singoli in difficoltà