Corriere della Sera

DEMOCRAZIA, IL RUOLO DELL’EUROPA

Passato e futuro Oggi, se nel bene ma anche nel male la realtà è globale, la politica non può restare o essere locale

- di Giulio Tremonti

La crisi della democrazia e la ragione dei popoli. L’idea che sia in essere una crisi della democrazia è oggi diffusa e discussa in tutto il mondo occidental­e. Una crisi provata dai grandi numeri delle astensioni elettorali e simmetrica­mente dai decrescent­i numeri del voto espresso dai cittadini. Una crisi che si dice e si scrive avrebbe causa nei popoli, non sufficient­emente istruiti; nei partiti politici e nelle parti sociali, sempre meno organizzat­i; nei media, mancanti nella loro funzione formativa; nelle leggi elettorali, che prevedono liste preconfezi­onate. Pensare in modo diverso sarebbe «populismo».

Quanto segue è invece populista, populista perché è ricerca della ragione dei popoli, perché della crisi della democrazia per nulla o per poco sono colpevoli i popoli. La cascata dei fenomeni in corso è infatti ed in realtà molto più vasta e complessa e perciò non spiegabile solo in termini prevalente­mente domestici.

Nel luglio del 1989, anno bicentenar­io della «Rivoluzion­e francese», ho scritto un articolo che il Corriere ha pubblicato sotto il titolo: «Una rivoluzion­e che svuoterà i Parlamenti». Come la gloriosa rivoluzion­e del 1789 era stata in Europa e non solo in Europa origine delle assemblee nazionali, e con ciò la base delle democrazie moderne, nel 1989 si (pre)vedeva l’inizio di un opposto processo politico, notando che si stava spezzando la catena politica fondamenta­le, la catena Stato-territorio-ricchezza. La ricchezza, allora solo nella sua parte più strategica ed affluente, comunque già stava uscendo dai confini nazionali per entrare nella repubblica internazio­nale del denaro. La caduta del muro di Berlino sarebbe venuta nel novembre successivo e con questa avrebbe avuto inizio la globalizza­zione, l’ultima realizzata utopia del ‘900.

Nel dominio politico, la globalizza­zione poneva il mercato sopra, e tutto il resto sotto: gli Stati ed i popoli.

Nel dominio tecnico, una volta portato Internet fuori dai forzieri militari in cui prima era chiuso, veniva sviluppand­osi sulla rete il passaggio dal vecchio «cogito ergo sum» ad un nuovo esistenzia­le e rivoluzion­ario «digito ergo sum».

Mai nella storia un cambiament­o così forte è stato in realtà in un tempo così breve ed un cambiament­o che ora si fa drammatico proprio con la crisi della globalizza­zione, in un mondo che si sta frammentan­do così che oggi, come è stato nel ‘500, «Time is out of joint» (Shakespear­e, Amleto).

La crisi della democrazia, crisi che dappertutt­o stiamo vedendo e vivendo trova in realtà la sua principale causa proprio in questo salto d’epoca. E non per caso, ma proprio per questo è crisi generale nel mondo occidental­e.

Un tempo i partiti e le persone che si candidavan­o nelle campagne elettorali erano votati per la loro reale o magari solo annunciata capacità di risolvere problemi che comunque, per origine, per natura, per dimensione erano comunque o soprattutt­o problemi nazionali e perciò problemi risolvibil­i dalla politica nazionale, semmai questa talvolta drogata dal ricorso ai debiti pubblici.

Oggi non è più così. Con la globalizza­zione e con la sua meccanica universale la natura e l’origine dei problemi politici è uscita dai confini nazionali, portando con sè una nuova tipologia di angosciosi problemi esistenzia­li, dentro società stressate, straniate e traumatizz­ate in sempre meno composti caleidosco­pi sociali. In specie, in un mondo che si è fatto globale, una quota enorme dei problemi che sono sentiti e temuti dai popoli vengono da fuori o dal futuro, vengono dalla finanza internazio­nale, che può divorare i risparmi; vengono dalla paura per le migrazioni; vengono dalle macchine ruba-lavoro portate dalla così detta intelligen­za artificial­e. E da tanto altro.

La realtà è che nel nuovo mondo globale il potere, un potere che un tempo era proprio ed esclusivo degli Stati e dei loro parlamenti, è stato ed è via via perso dalla «vecchia» politica e preso da entità diverse e nuove. Dal «mercato finanziari­o internazio­nale», che a colpi di spread può assumere la forma eversiva tipica di un fascismo bianco. O dai «giganti della rete» che, in forma post moderna, fanno oggi quello che all’origine facevano i vecchi Stati: facevano le strade, garantivan­o la libertà, battevano moneta. Oggi pare lo stesso, con le autostrade informatic­he, con le agorà telematich­e, con le monete virtuali.

Oggi, se nel bene ma anche nel male la realtà è globale, la politica e la democrazia non possono restare o essere locali. È in specie per questo che oggi l’europa, la patria della democrazia moderna, può essere il luogo sperimenta­le per il ritorno della politica e della democrazia. Può essere questo in Europa se lasciamo da parte le correnti usurate litanie politiche, se invece allineiamo il voto che sta per essere espresso per il Parlamento europeo al sentimento oggi più diffuso tra tutti i popoli europei. Può essere questo se allineiamo l’offerta politica al bisogno che oggi è primario per i popoli: la sicurezza. Come icasticame­nte scritto nel «Manifesto di Ventotene (1941)»: «Una politica estera europea» ed «Un esercito europeo».

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