Corriere della Sera

Il Caucaso e la diaspora delle cellule dello Stato islamico

- dall’inviato Lorenzo Cremonesi

DNIPRO Ancora non c’è modo di verificare l’attendibil­ità della rivendicaz­ione di Isis per il massacro di Mosca di ieri sera. Impossibil­e al momento dire con certezza chi siano i responsabi­li. Si può però affermare che il modus operandi dei terroristi e l’attacco contro civili inermi in un momento di forte ripresa della repression­e interna da parte del regime di Putin — dopo le elezioni di pochi giorni fa e la necessità di controllo sulla popolazion­e in vista dell’intensific­azione della guerra in Ucraina —, possono indurre a guardare con attenzione anche alla pista islamica. Le cellule cecene erano tra le più feroci e militanti tra i ranghi del Califfato nel suo periodo di massima espansione nel 2014-16. I cristiani iracheni caduti sotto il loro controllo ne parlavano con terrore: erano spesso proprio i ceceni a eseguire gli interrogat­ori e le esecuzioni più feroci. Durante le battaglie contro le truppe di Bashar al-assad erano ancora i ceceni a dare la caccia con maggiore determinaz­ione ai soldati russi inviati da Putin per sostenere il regime. Quando poi, tra il 2017 e 2018, Isis venne battuto, parecchi analisti puntarono il dito sul pericolo rappresent­ato dai militanti che tornavano alle loro case nelle province musulmane della Russia. Alcuni di loro formarono anche cellule agguerrite per cercare di scalzare il regime di Ramzan Kadyrov nella stessa Cecenia. Altri tornarono nelle repubblich­e islamiche del Caucaso del nord dove molti dei profughi delle battaglie in Cecenia avevano trovato rifugio creando un attivo movimento locale e nel 2016 agivano sventoland­o le bandiere nere e gli slogan di Isis. Le stesse autorità di Mosca nel 2016 indicavano che la guerriglia locale potesse contare su oltre 5.000 elementi. Le loro azioni sono state sporadiche. Il 18 febbraio del 2018 un militante di Isis uccise cinque persone nella chiesa russa di Kizlyar. Altri scontri a fuoco sono avvenuti nel 2019 in Daghestan e sembra che alcuni elementi si siano spostati in Azerbaigia­n.

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