Mosca attacca le centrali elettriche E per la prima volta parla di guerra
«L’occidente con Kiev, non è più un’operazione speciale». Colpita la rete energetica ucraina
Ci sono elementi di continuità, ma anche di rilevante novità, nella scelta russa l’altra notte di sparare una novantina di missili e oltre 60 droni Shahed di fabbricazione iraniana contro le infrastrutture energetiche ucraine. Colpita la gigantesca centrale elettrica sul fiume Dnipro all’altezza della diga di fronte alla città di Zaporizhzhia, distrutte le centraline e i trasformatori di Kharkiv, dove ora almeno 700.000 abitanti sono al buio (in tutto il Paese sono oltre il doppio), e devastati una ventina di altri snodi energetici vitali nelle regioni meridionali e centro-occidentali. Kiev denuncia almeno 5 morti e decine di feriti. Pare che le sue contraeree siano riuscite a colpire 37 missili e 55 droni: tanti, ma non abbastanza per evitare i danni.
Alcuni commentatori lo definiscono il «più massiccio attacco contro l’energia ucraina dall’inizio della guerra» nel febbraio 2022. Però, va ricordato che nei lunghi e difficili mesi dell’inverno 2022-23 i russi riuscirono a ridurre il Paese al freddo e al gelo per molte settimane. L’ucraina non era pronta ad affrontare la demolizione programmatica delle sue infrastrutture. E soltanto nel marzo-aprile dell’anno scorso i suoi tecnici furono in grado di riempire i depositi di pezzi di ricambio e di imparare a riparare rapidamente i danni. Gli attacchi delle ultime settimane ricordano quelli dell’anno scorso. A Odessa hanno causato diffusi blackout e così anche nelle regioni di Sumy e lungo il Donbass. I tecnici ucraini hanno lanciato l’ennesimo allarme per la centrale atomica di Zaporizhzhia, occupata dai russi due anni fa, dove le bombe avrebbero tagliato il collegamento con la rete ucraina generando il pericolo di collasso del sistema.
La novità sta però nel quadro generale del conflitto. Una fase che vede l’ucraina in difficoltà a causa specialmente della netta diminuzione degli aiuti militari americani, oltreché della carenza di soldati addestrati, e invece la Russia decisa a rilanciare l’aggressione con più armi e truppe fresche. Ieri per la prima volta il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato ai media ufficiali che, «a causa del crescente coinvolgimento del fronte occidentale in sostegno all’ucraina», quella che Mosca ha sempre definito una «operazione militare speciale» è ormai diventata una «guerra aperta». Già in passato lo stesso Putin aveva messo in guardia persino sui rischi di guerra nucleare con la Nato. Ma erano ancora percepiti come avvertimenti. Appena dopo la dichiarazione di «vittoria» alla farsa del voto di metà marzo, lo stesso Putin era tornato a parlare di rilancio dell’«operazione militare speciale» con anche la prospettiva di creare «zone cuscinetto» di occupazione russa nella zona di Kharkiv. In questa luce, le parole di Peskov pesano adesso molto più che nel passato e sembrano mirate soprattutto a minacciare i Paesi europei, che stanno aumentando gli aiuti militari all’ucraina. Putin intende comunque punire gli ucraini per i blitz dei legionari russi armati da Kiev specie nella zona di Belgorod e gli attacchi dei droni contro le raffinerie russe, che erano mirati a disturbare le sue elezioni. Sembra che la raffinazione nazionale russa sia diminuita del 10 per cento in poche settimane. Il Financial Times segnala che l’amministrazione Usa avrebbe chiesto a Kiev di limitare gli attacchi alle raffinerie dato la crescita dei prezzi sul mercato energetico mondiale e il rischio di rappresaglie russe ancora più dure. Kiev replica che continuerà a mordere proprio dove fa più male al nemico.