Il «pressing» sul Viminale dei parlamentari di destra Loro: tutto alla luce del sole
Gli imbarazzi e il parziale passo indietro di Forza Italia
Il primo lascia squillare a vuoto. Il secondo risponde, ma dice che sta decollando e non può parlare. Il terzo passa il cellulare a un collaboratore: «Il sottosegretario è impegnato in una call». Il quarto, Mauro D’attis, invece risponde e rivendica senza imbarazzo la «missione» dei parlamentari pugliesi di destra, fotografati a un tavolo del Viminale presieduto dal ministro. Davvero è stata sua l’idea di fare «pressioni indebite» (copyright Decaro) sul ministro Piantedosi, invocando lo scioglimento del Comune di Bari? «L’iniziativa non è mia, ma tutto è avvenuto alla luce del sole».
Deputato di Forza Italia nato a Galatina e vicepresidente della commissione Antimafia, D’attis ritiene «del tutto normale che dei parlamentari del territorio vadano a parlare col ministro per illustrare una preoccupazione». Nessun blitz per scopi elettorali, assicura. «Nessuna orologeria. E se avessimo voluto fare pressioni o cose strane, l’ultima cosa sarebbe stata farlo sapere». Invece i sette hanno persino mandato in giro la photo opportunity, quella che ha fatto saltare i nervi al sindaco di Bari: «Mi sono inquietato quando ho visto una fotografia di un gruppo di parlamentari del centrodestra che entrano nella stanza del ministro dell’interno. Tra loro c’erano anche due viceministri...».
Oltre a D’attis, all’ingombrante tavolo con Piantedosi nella Sala Roma sedevano Francesco Paolo Sisto, Forza Italia, numero due della Giustizia, i leghisti Roberto Marti (senatore) e Davide Bellomo (deputato), il senatore di FDI Filippo Melchiorre, il turbomeloniano Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute, e il deputato leghista Rossano Sasso. Era il 27 febbraio ed è stato, assicurano al Viminale, il solo incontro tra la delegazione e il ministro dell’interno.
La polemica sull’opportunità e sulle presunte pressioni è stata così virulenta che ieri Forza Italia ha fatto una parziale marcia indietro. Eppure era stato Maurizio Gasparri a esultare per primo: «La notizia è che nostri coordinatori regionali si sono recati al ministero dell’interno per ipotizzare lo scioglimento del Comune». Parole che devono aver creato non poco imbarazzo a Piantedosi, costretto a smentire di essere stato energicamente tirato per la giacca, da destra. «Non ho ricevuto alcuna pressione — ripete il ministro nelle riunioni riservate —. Come sapete non mi faccio condizionare, ascolto tutti ma poi decido sempre in autonomia».
A sentire il Viminale, il ministro ha incontrato gli esponenti del centrodestra «perché lo avevano chiesto» e ha detto loro che non aveva deciso nulla in merito al destino del Comune. E qualche giorno dopo ha ricevuto anche il sindaco Decaro, con il quale ha avuto uno scambio «garbato, cortese, rispettoso». Martedì, intervistato dal Foglio a tutta pagina, Piantedosi «per garbo» non ha proferito parola su Bari. Voleva essere lui a dare al sindaco la (pessima) notizia dell’istituzione della commissione di accesso. Per il ministro «non è una sanzione» e non ha come obiettivo lo scioglimento del Comune amministrato dal Pd, mentre per Decaro è «un atto di guerra».
Da destra accusano il sindaco di essere andato anche lui al Viminale «in processione» per implorare Piantedosi di non sciogliere il Comune. Il sindaco nega, conferma di essersi recato al ministero non certo per fare pressioni, bensì con in braccio i faldoni che proverebbero la sua battaglia contro i 14 clan baresi: «A chi devo consegnarli?». Al prefetto, gli ha risposto Piantedosi.
L’andirivieni al Viminale a seguito dei 130 arresti che hanno infiammato la campagna elettorale non finirà di suscitare polemiche. Rossano Sasso, ex sottosegretario all’istruzione, smentisce il sospetto che sia stata una macchinazione elettorale: «Nessuna pressione indebita». Che cosa, allora? «Normale attività politica a tutela del territorio. A meno che non si ritenga illegittimo che parlamentari della Repubblica chiedano trasparenza su una vicenda drammatica che ha colpito la città di Bari».
Il colloquio
D’attis: normale parlare con il ministro per un problema del territorio