LE INCOGNITE DI UN PARTITO CHE SI IDENTIFICA COL SUO LEADER
Simbolicamente, la mozione di sfiducia delle opposizioni contro Matteo Salvini avrà di certo un qualche valore. Pd, M5S, Avs e Azione, ma non i renziani, potranno issare la bandiera dell’unità, risuscitando contro di lui quel «campo largo» rivelatosi velleitario a livello elettorale. Ma è da escludersi che la richiesta di dimissioni al Parlamento, in discussione dalla prossima settimana, possa avere qualche probabilità di vittoria. In questi casi, le coalizioni si compattano; e quella di Giorgia Meloni non farà eccezione. Per quanto il vicepremier, ministro e leader della Lega crei imbarazzo per le storiche posizioni antieuropee e filo-russe, il governo non può permettersi di sacrificarlo: anche se qualcuno, segretamente, ne avrebbe una gran voglia. Perdere il capo della seconda forza di destra significherebbe aprire una crisi di fatto; e prima del voto europeo di giugno. Il regalo a opposizioni sfrangiate e divise sarebbe enorme. Senza contare le contraddizioni sulla Russia presenti anche nel campo avverso; e l’imbarazzo di Palazzo Chigi per l’inchiesta giudiziaria sulla ministra del Turismo di FDI, Daniela Santanchè. Meglio, dunque, difendere un Salvini indebolito. I conti, semmai, si faranno dopo le elezioni in Europa. Ma si faranno in primo luogo dentro la Lega. Il Carroccio promette di uscire malconcio dalle urne che cinque anni fa regalarono a Salvini oltre un terzo di consensi; e mentre governava con i grillini. Eppure, perfino in caso di risultati a una cifra, non sono in molti a scommettere su una rivolta; non vincente, almeno. Il fatto che il leader abbia già parlato di congresso in autunno serve a ostentare sicurezza nei confronti degli avversari interni. L’appuntamento viene presentato dal suo alter ego Andrea Crippa, vicesegretario, come un bagno di democrazia. E appare un modo preventivo di dire a chi aspira a sostituire
Salvini, che sarebbe un’operazione suicida. Quando Crippa sostiene che il vicepremier «è imprescindibile per la Lega», fotografa una forza che ha assunto la fisionomia del partito personale; e comunque fortemente identificato col leader. E quando ricorda il 35 per cento alle Europee del 2019, aggiungendo che «la Lega a volte cresce, a volte è meno forte», depotenzia le accuse contro Salvini. D’altronde, dopo il 9 giugno sono già messe nel conto. Ma la fronda dei governatori del Nord sarebbe destinata a rimanere tale. Secondo questa analisi, se bisognerà cambiare qualcosa, a farlo sarà il segretario con i suoi pretoriani. Certo, dipenderà da quanto serio si rivelerà il ridimensionamento elettorale. Ma ormai il tema prescinde da Salvini. Riguarda identità e sopravvivenza di un partito che ha un grande passato dietro le spalle; e che presto potrebbe essere costretto a chiedersi quale sarà il suo futuro.