Amsterdam rigenera uno spazio per la memoria
Aperto il museo dell’olocausto progettato da Libeskind Era un centro nazista per la deportazione dei bambini
Durante la seconda guerra mondiale i nazisti usarono l’asilo ubicato alla porta accanto come centro di deportazione dei bambini per i campi di concentramento. Anche per questo, il nuovo Museo Nazionale dell’olocausto, ospitato nell’hervormde Kweekschool, un ex istituto magistrale protestante di Amsterdam, assume un’importanza davvero simbolica. Nelle sue stanze sono esposti circa 2.500 oggetti, fotografie, reperti audiovisivi, documenti originali e installazioni artistiche che vogliono raccontare la storia dell’orrore nazista in Olanda, durato dal 1940 al 1945, e lo sterminio nei lager, oltre alla liberazione dei prigionieri e il trattamento che hanno ricevuto queste vicende nei decenni successivi, sino al posto che occupano oggi nella cultura della memoria olandese. Durante l’olocausto, nei Paesi Bassi persero la vita circa 102.000 ebrei, le più note delle quali sono state, grazie ai loro diari, Anna Frank ed Etty Hillesum, una ragazzina e una giovane donna capaci di trasmettere,
allo stesso tempo passione per la vita e inquietudine per la sorte che sarebbe toccata a entrambe. Anche Rom e Sinti vennero sterminati.
«L’obiettivo di questo progetto è stato quello di fornire lo spazio mentale affinché le storie personali prendessero vita per i visitatori — spiegano i membri di Office Winhov, il team di architetti basato ad Amsterdam che ha eseguito i lavori —, per trasmettere il senso profondo di questo dramma, soprattutto alle generazioni future».
Nelle gallerie in cui è suddiviso tale spazio espositivo, si possono vedere da vicino vestiti, gioielli, valigie e altri oggetti per mostrare la loro personalità e individualità, come ha dichiarato la curatrice Annemiek Gringold, e «far emergere la natura di essere umani prima di quelle di vittime del nazismo. Questo rappresenta, infatti, il solo modo a nostra disposizione per rendere giustizia alla loro memoria».
Importanti sono le ultime due sale perché viene ripercorso, attraverso testimonianze dirette, il cammino di alcuni dei 30 mila ebrei olandesi rimasti in vita dopo la fine della II guerra mondiale e della maniera in cui hanno cercato di ridare dignità e riannodare i fili delle loro esistenze.
Acquistato dalla Jewish Cultural Quarter, l’associazione che tutela la memoria ebraica olandese nel 2021, questo edificio aveva ospitato alcune esposizioni temporanee, prima di essere trasformato in museo. Tra le scelte di design più efficaci, vi è quella di filtrare la luce naturale che entra dalle finestre per illuminare gli interni mediante persiane leggere di colore grigio che vogliono ricordare come gli oppressori tedeschi fossero soliti commettere quelle atrocità alla luce del sole, per essere il più visibili e crudeli possibile: sono stati proprio i sopravvissuti e le loro famiglie a donare oggetti privati, mai prima d’ora mostrati fuori dai contesti più intimi. Le fotografie che ritraggono i bambini intenti nei giochi di tutti i giorni, prima della loro deportazione, sono davvero toccanti, così come destano autentica commozione le vesti sulle quali venne cucita la stella di Davide
per ottemperare all’imposizione nazista volta a distinguere i cittadini ebrei da quelli ariani. «Per la prima volta un’istituzione museale racconta nella sua interezza — ha dichiarato Emile Schrijver, direttore del Museo nazionale dell’olocausto — la storia vera degli ebrei olandesi, quella che per decenni venne taciuta anche da chi aveva subito in prima persona quella atroce brutalità».
Ecco, dunque, che quell’architettura della memoria di cui Daniel Libeskind è il rappresentante più concreto nel mondo, trova ad Amsterdam un altro luogo meritevole di essere visitato, dal maggior numero di persone, specialmente giovani, per perpetuare il racconto di un dramma che non dovrà più ripetersi nella storia dell’umanità.
L’architetto
«Un percorso mentale per non dimenticare le storie personali degli ebrei olandesi»
Le vittime
Si racconta anche l’esistenza dopo la guerra dei 30mila sopravvissuti