«La mia vita sulle punte»
Arriva il docufilm dedicato alla prima donna italiana nominata étoile in Francia Abbagnato: tanti successi in carriera e tanta solitudine A Parigi mi chiamavano la piccola mafiosa siciliana
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Avevo 8 anni ed ero così determinata che all’insegnante dicevo di non prendere un’altra ballerina perché non era brava: la competizione è naturale nel nostro mestiere
«Quando entrai nella scuola di danza dell’opéra di Parigi, ero l’unica italiana e le madri delle altre danzatrici mi chiamavano la petite mafieuse. Oggi sarebbe un insulto, all’epoca non mi rendevo conto del peso della parola mafiosa e ci ridevo sopra... avevo solo 14 anni». Poi però la piccola mafiosa Eleonora Abbagnato nel 2013 diventerà l’étoile dell’opéra, la prima donna italiana ad assumere questo ruolo. Una storia di tenacia, sacrificio, determinazione quella della grande ballerina palermitana, attuale direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’opera di Roma, che ora viene raccontata nel docufilm Eleonora Abbagnato. Una stella che danza, su Rai3 il 29 marzo, con la regia di Irish Braschi, prodotto da Matteo Levi.
Definita mafiosa, perché siciliana?
«Non lo so, ma il connubio mafia-sicilia è possibile. E quando ero Étoile, ricevetti persino una lettera anonima, dove c’era scritto: liberiamoci della mafiosa siciliana».
Da chi ha ereditato la passione per la danza?
«Non ho in famiglia nessuno che abbia mai avuto un rapporto di interesse con quest’arte, però quando ero molto piccola mia madre, che doveva andare a lavoro a Palermo, mi parcheggiava nella scuola di danza della sua amica Marisa Benassai. Assistevo alle lezioni da mattina a sera.
E da lì tutto è iniziato».
Un percorso difficile, costruito passo dopo passo, è proprio il caso di dire, per raggiungere il vertice del successo.
«Sono sempre stata molto determinata...».
Talmente determinata che, ancora ragazzina, si permetteva di dire all’insegnante di non prendere un’altra danzatrice perché non era brava...
«Ebbene sì. Avevo 8 anni ed ero già la prima ballerina della scuola, ma la mia non era cattiveria, né invidia nei confronti delle compagne. La competizione è naturale nel nostro mestiere, per confrontarsi con gli altri e crearti una tua dimensione».
Una dimensione a 360 gradi, senza mai un momento di esitazione?
«I momenti di esitazione non sono mai mancati. Quando mi preparavo con l’insegnante per un ruolo e, magari, non sapevo fare bene una performance, facevo finta di dover andare al bagno e uscivo dalla sala, non volevo farmi vedere in difficoltà».
Tra gli insegnanti più esigenti?
«Prima di tutto Roland Petit: straordinario, a volte molto violento. Se non realizzavo quello che lui voleva, volavano le sedie addosso, e anche parole pesanti... oggi sarebbe da denunciare, però mi ha rinforzato. E poi Claude Bessy, direttrice della Scuola dell’opéra che una volta mi costrinse a pattinare, sapendo che non ero capace. I coreografi erano sempre molto duri, volevano il massimo da me, perché capivano che ne avevo le possibilità».
Anche Pina Bausch?
«Un’esperienza straordinaria con il suo teatro-danza: per me un impegno totalmente nuovo. Nei dettagli era meticolosa: per spiegarti un certo movimento poteva metterci due ore».
Un’altra esperienza insolita il film «Il 7 e l’8» con Ficarra e Picone, suoi concittadini.
«Molto divertente. Accettai la proposta perché volevo staccarmi da una situazione di attesa difficile, cioè la nomina da Étoile... avevo bisogno di distrarmi».
Tanti successi, tanti premi, tanti applausi...
«E tanta solitudine, la lontananza dal tuo guscio di affetti, con cui devi fare i conti: dolorosa, ma necessaria e, in certi casi, persino esaltante. Il prezzo da pagare per il successo è piuttosto alto».
Però sua figlia Julia segue le sue orme: dodicenne di talento compare al termine del docu-film nel ruolo della mamma bambina...
«Sì, ma non sono stata io a condurla sulle mie orme. E — ride — nostro figlio Gabriel invece fa calcio, seguendo quelle del papà calciatore, mio marito Federico Balzaretti. Destini incrociati».
Futuri progetti?
«Il balletto Nuits Romaines dal 26 aprile all’opera di Roma, poi in tournée. Un omaggio alla Capitale».
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Ci sono stati momenti di esitazione Quando mi preparavo per un ruolo e non sapevo fare bene una performance, allora uscivo dalla sala con la scusa di andare al bagno