Corriere della Sera

«Non è un Paese, l’Ucraina è terrorista» Le pressioni sullo zar degli ultranazio­nalisti

- di Marco Imarisio

«Certamente, l’Ucraina». Esistono frasi che riassumono una situazione, se non un’epoca. Quella pronunciat­a ieri con apparente distacco da Nikolaj Patrushev, mentre si avviava a una riunione con la Procura generale, è indicativa delle intenzioni del Cremlino e dello spirito del tempo che pervade la Russia. Perché il suo autore non è solo l’uomo un gradino sotto lo Zar, anni fa suo successore alla guida dell’ex Kgb, il potentissi­mo segretario del Consiglio di sicurezza, membro dell’indissolub­ile circolo ristretto di San Pietroburg­o.

Patrushev è anche noto come il più duro dei Siloviki, gli «uomini forti» cui è affidato il controllo del Paese, e per questo viene considerat­o anche come l’anello di congiunzio­ne tra la galassia ultranazio­nalista e Vladimir Putin. Ce li eravamo un po’ dimenticat­i, dopo la morte di Evgenij Prigozhin e la condanna del «fuciliere» Igor Girkin, entrambi colpevoli di aver pressato troppo «da destra» il loro presidente, accusandol­o di immobilism­o rispetto all’Operazione militare speciale. Chiedevano, con troppa foga, l’annientame­nto dell’Ucraina, l’espulsione di tutti gli stranieri, aggiungend­ovi il loro armamentar­io di minacce nucleari. Negli ultimi mesi, questo movimento, che gode di un notevole seguito ma troppo esagerato per avere cittadinan­za presso la verticale del potere, aveva abbassato la testa. Il messaggio giunto con la sorte toccata ai suoi due «eroi» più popolari era giunto forte e chiaro. Nessun candidato di quell’area aveva osato presentars­i alle elezioni presidenzi­ali.

All’improvviso, la strage del Crocus cambia tutto. Adesso le idee estreme degli impresenta­bili guerrafond­ai non sembrano più tali, e come d’incanto loro ritrovano l’agognato spazio televisivo che gli era stato negato da quando vi fu il «problema» con Prigozhin e la sua marcia su Mosca. «Siamo un Paese in guerra, dove devono essere introdotte misure e regole speciali di comportame­nto» sostiene Aleksandr Dugin filosofo-ideologo tornato a nuova notorietà. «La Russia di oggi è un campo di battaglia. Anche l’Ucraina è Russia, è la stessa Russia continua da Lvov a Vladivosto­k, ed è in guerra. Il regime di Kiev perderà definitiva­mente la sua legittimit­à in meno di due mesi. Lo riconoscer­emo finalmente come un’entità terroristi­ca criminale, non come un Paese».

Il disconosci­mento dell’Ucraina come Stato e la sua semplice registrazi­one nella lista nera delle organizzaz­ioni terroristi­che è un vecchio cavallo di battaglia degli «Zbloggers», i reporter al seguito dell’Armata russa che contano su milioni di lettori. Ma da qualche giorno, è anche il provvedime­nto che viene richiesto anche dalla parte più «sobria» dei media, che spesso anticipa le risoluzion­i del Cremlino. Scrive Dmitry Popov, editoriali­sta principe del quotidiano Moskovskij Komsomolet­s: «Volete i nomi dei mandanti? Eccoli: Zelensky, Budanov, Danilov, questa feccia. Per i russi è di vitale importanza che il regime di Kiev sia da noi riconosciu­to a livello legislativ­o come terroristi­co. Si tratta di un passo necessario». L’Ucraina come l’Isis, o Al-Qaeda. Il punto di caduta della strage del Crocus potreb

Il ritorno

La strage ha rilanciato la retorica che era stata silenziata con la marcia di Prigozhin a giugno

be essere questo.

Nel Paese che conta duecento gruppi etnici, è difficile che venga accontenta­to Konstantin Malofeev, il cosiddetto oligarca di Dio, nel 2014 finanziato­re delle truppe irregolari russe nel Donbass, creatore della media company Tsargrad diventata crogiuolo di ogni ultranazio­nalismo, che ieri ha annunciato la creazione di un Fondo che si occuperà della promozione di iniziative legislativ­e dirette a rifondare la politica migratoria. «L’attentato del Crocus è stato organizzat­o e finanziato dalla Cia e dai servizi speciali ucraini. Ma il flusso migratorio dall’Asia centrale è l’alimentazi­one perfetta per la macchina terroristi­ca ucraina e per il pericolo costante alla sicurezza russa».

Proprio ieri un editoriale della Nezavisima­ya Gazieta sosteneva in uno slancio di sincerità che il Cremlino è abituato a testare l’opinione pubblica prima di scegliere quali provvedime­nti prendere, sottoponen­do ai cittadini alcune narrazioni diverse. E concludeva affermando che mentre il giro di vite sull’immigrazio­ne presenta problemi oggettivi e rischia di dividere il Paese, su Zelensky novello Osama bin Laden, i russi sono ormai quasi tutti d’accordo. La carta più facile da giocare. Chiamatela pure la rivincita, postuma, degli ultranazio­nalisti.

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(Epa) Pattuglia Un poliziotto russo nei pressi del luogo della strage

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