Corriere della Sera

HANDICAPPA­TO, LA FORMA E LA SOSTANZA

- di Elisabetta Soglio

L’handicappa­to è, in una gara, «colui che è messo in condizione di svantaggio». In senso figurato, si intende invece la persona «che si trova in condizione di svantaggio, è penalizzat­o, sfavorito, svantaggia­to». Nell’estensione spregiativ­a è infine un insulto avvicinato a sinonimi quali «allocco, imbranato, cretino, demente, fesso, idiota, scemo». Bastano questi pochi vocaboli indicati dalla Treccani per plaudire dunque alla decisione, comunicata dalla ministra Alessandra Locatelli, di eliminare dalla scrittura legislativ­a, a partire dal decreto attuativo della legge delega e da tutto ciò che di qui discende, i termini «handicap» e «handicappa­to» sostituend­oli come prevede la convenzion­e Onu con la «condizione di disabilità» e «persona con disabilità». Un passo in avanti perché in alcuni casi anche la forma è sostanza e ricorrere a termini appropriat­i, a cominciare dalla formulazio­ne di una legge, può sicurament­e indicare un maggiore rispetto della dignità delle persone, in una società mai come in questo periodo ipersensib­ilizzata sull’uso delle parole. Ma è anche necessario andare oltre al tema molto in voga del «politicame­nte corretto» e chiedersi se basti correggere una cultura fatta di appellativ­i derisori, irrispetto­si e volgari per far sentire le persone disabili realmente incluse. Giriamola in un altro modo: a un ragazzo con una disabilità fisica o intelletti­va pesa di più sentirsi apostrofar­e o non poter avere un contratto di lavoro? Pesa di più la derisione dei compagni di classe o il fatto di non poterci stare in quella classe, perché manca il suo insegnante di sostegno? E un genitore si preoccupa di più perché qualcuno dà dell’«handicappa­to» al proprio figlio o perché non sa come sarà il «dopo di noi» e chi si prenderà cura di lui in un futuro vicino o lontano? Siamo sicuri che la ministra Locatelli, molto competente e attenta al tema, abbia chiari questi punti e non si fermerà al linguaggio. Che intanto impariamo tutti, anche noi comunicato­ri, a cambiare in modo adeguato.

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