Corriere della Sera

Il ricordo di Miran (non era Miriam)

- di Gian Antonio Stella

«Èsempre un’emozione stare in questa sala in particolar­e in giornate come questa in cui ricorre il trentennal­e della morte di Miriam Hrovatin. Uccisa nel 1994 nella città di Mogadiscio a seguito di un attentato terroristi­co. Per questo è importante in questa giornata ricordarla perché ancora il caso non è risolto». «Miriam?» «Uccisa»? Possibile che Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio Comunale (massì, abbondiamo con le maiuscole, direbbe Totò) possa confonders­i nell’occasione più solenne e amara in cui il Municipio della città di San Giusto ricorda quel suo figliolo morto in Somalia? Il video non lascia il minimo dubbio: dice proprio «Miriam», «uccisa». Come se Francesco Di Paola (nome) Panteca (cognome), già sottotenen­te della Finanza, brindisino d’origine, eletto consiglier­e nella Lista Civica destrorsa «Dipiazza per Trieste» non avesse mai neppure sentito nominare quell’operatore Rai assassinat­o in circostanz­e ancora misteriose, probabilme­nte legate al traffico di armi o rifiuti tossici, insieme con la giornalist­a Ilaria Alpi. E non avesse neppure idea che non si trattava di una fragile donna ma di un ragazzone grande grosso con la barba ed era un triestino appartenen­te alla minoranza slovena e portava quel nome Miran perché nelle lingue slave significa «pace» o «mondo» ed era proprio il nome giusto per uno pieno di vita come lui. Punto sul vivo di chi gli aveva fatto le pulci sulla svista, Francesco Di Paola Panteca l’ha buttata in politica (il video è on-line) con queste testuali parole: «Io sono a Trieste dal 1979. E conoscevo personalme­nte Miran Hrovatin. L’ho conosciuto come fotografo a Sgonico dove svolgevo, io, il mio lavoro di attività lavorativa. Tuttavia però comprendo che in assenza di programmi e progetti politici da proporre all’opposizion­e non resti altro che eccitarsi sulla banalità e la sbagliata pronuncia non vedendo tra le presenti tra i vostri banchi persone immuni da errori né tantomeno cultori della Accademia della Crusca...».

Per carità: non c’è legge che imponga neppure a una città colta e raffinata come la Trieste di Italo Svevo, James Joyce, Umberto Saba, Claudio Magris e tanti altri di darsi una classe dirigente devota alla Crusca e all’altezza del suo passato letterario. E ognuno è libero in democrazia di fare il «lavoro di attività lavorativa» che più gli aggrada. Ma rendere onore a un figlio morto così con tanta approssima­zione...

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