Corriere della Sera

«Corsa degli investitor­i Usa a Piazza Affari, saliti dal 5 al 30%»

Lester (Jefferies): in Italia aziende straordina­rie, quello che a volte manca sono i capitali per crescere

- Francesco Bertolino

I fondi di private equity controllan­o ormai 28 mila aziende nel mondo. Un numero enorme che testimonia la crescita di questi gestori, la cui bravura, però, si misura non tanto sull’abilità nel comprare imprese offrendo più degli altri, quanto sulla capacità di rivenderle in tempi relativame­nte brevi a un prezzo di due-tre volte più elevato rispetto a quello di acquisto. Ebbene, il 2023 non è stato un buon anno sotto questo profilo: secondo Bain & co, il valore delle cessioni da parte dei fondi è crollato del 44%, il livello più basso in 10 anni. «L’anno scorso è stato di attesa, nel 2024 ci sarà una ripresa del mercato», prevede Dominic Lester, responsabi­le dell’investment banking di Jefferies

per Europa, Medio Oriente e Africa.

Perché?

«Gli investitor­i nei private equity, come fondi pensione e assicurazi­oni, stanno premendo sui gestori affinché vendano partecipaz­ioni, anche a multipli inferiori, e restituisc­ano capitale: non vogliono rimanere bloccati troppo a lungo in un fondo e hanno gli impegni di distribuzi­one da rispettare».

Ma i fondi riuscirann­o a trovare compratori?

«Nel 2024 i passaggi di aziende da fondo a fondo potrebbero aumentare rispetto agli ultimi due anni perché si sta riducendo il disallinea­mento delle valutazion­i fra venditori e compratori. Mi aspetto inoltre molte quotazioni di imprese controllat­e da private equity: in Italia, per esempio, sono state annunciate quelle Golden Goose, Banca Progetto, 2iRete Gas».

Dopo anni di stagnazion­e, un rilancio della Borsa?

«Le quotazioni in Borsa sono state poche non tanto a causa del rialzo dei tassi o del contesto geopolitic­o, ma soprattutt­o perché alcune aziende sono state quotate dai fondi a prezzi troppo elevati, registrand­o poi andamenti deludenti: così è venuta meno la fiducia degli investitor­i».

È ora cosa è cambiato?

«I fondi sono disposti a quotare le aziende a valori più bassi, in linea con i fondamenta­li. Hanno capito che la Borsa è un’altra fase di vita del loro investimen­to, devono restare nel capitale della quotata e accompagna­rne ancora la crescita. A mano a mano che l’azienda dimostra le sue capacità, possono gradualmen­te uscire. È il caso di alcuni private equity, per esempio di Apollo con Lottomatic­a».

C’è interesse per le aziende italiane da parte degli investitor­i internazio­nali?

«Molto e si capisce anche dalla composizio­ne dell’azionariat­o dei gruppi già quotati. Un dato per tutti: nei periodi di scarsa fiducia nel Paese gli investitor­i americani detengono in media fra il 5 e il 10% delle grandi aziende scambiate a Piazza Affari, oggi siamo vicini al 30%».

Vale anche per le imprese che vorrebbero quotarsi?

«In Italia ci sono aziende straordina­rie, ma talvolta mancano i capitali per crescere. Noi di Jefferies cerchiamo di distinguer­ci dai concorrent­i mettendoci al servizio dei clienti, trovando soluzioni strategich­e e di finanziame­nto personaliz­zate».

Ma a che scopo le aziende italiane cercano capitali?

«La transizion­e energetica e digitale sono gli impieghi più scontati. Gli investimen­ti necessari sono però tali che si rende inevitabil­e la creazione di gruppi di caratura europea. Mi aspetto allora un aumento delle fusioni e del consolidam­ento fra aziende italiane e di altri Paesi Ue, anche per rispondere alla concorrenz­a pressante sui costi».

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