«Corsa degli investitori Usa a Piazza Affari, saliti dal 5 al 30%»
Lester (Jefferies): in Italia aziende straordinarie, quello che a volte manca sono i capitali per crescere
I fondi di private equity controllano ormai 28 mila aziende nel mondo. Un numero enorme che testimonia la crescita di questi gestori, la cui bravura, però, si misura non tanto sull’abilità nel comprare imprese offrendo più degli altri, quanto sulla capacità di rivenderle in tempi relativamente brevi a un prezzo di due-tre volte più elevato rispetto a quello di acquisto. Ebbene, il 2023 non è stato un buon anno sotto questo profilo: secondo Bain & co, il valore delle cessioni da parte dei fondi è crollato del 44%, il livello più basso in 10 anni. «L’anno scorso è stato di attesa, nel 2024 ci sarà una ripresa del mercato», prevede Dominic Lester, responsabile dell’investment banking di Jefferies
per Europa, Medio Oriente e Africa.
Perché?
«Gli investitori nei private equity, come fondi pensione e assicurazioni, stanno premendo sui gestori affinché vendano partecipazioni, anche a multipli inferiori, e restituiscano capitale: non vogliono rimanere bloccati troppo a lungo in un fondo e hanno gli impegni di distribuzione da rispettare».
Ma i fondi riusciranno a trovare compratori?
«Nel 2024 i passaggi di aziende da fondo a fondo potrebbero aumentare rispetto agli ultimi due anni perché si sta riducendo il disallineamento delle valutazioni fra venditori e compratori. Mi aspetto inoltre molte quotazioni di imprese controllate da private equity: in Italia, per esempio, sono state annunciate quelle Golden Goose, Banca Progetto, 2iRete Gas».
Dopo anni di stagnazione, un rilancio della Borsa?
«Le quotazioni in Borsa sono state poche non tanto a causa del rialzo dei tassi o del contesto geopolitico, ma soprattutto perché alcune aziende sono state quotate dai fondi a prezzi troppo elevati, registrando poi andamenti deludenti: così è venuta meno la fiducia degli investitori».
È ora cosa è cambiato?
«I fondi sono disposti a quotare le aziende a valori più bassi, in linea con i fondamentali. Hanno capito che la Borsa è un’altra fase di vita del loro investimento, devono restare nel capitale della quotata e accompagnarne ancora la crescita. A mano a mano che l’azienda dimostra le sue capacità, possono gradualmente uscire. È il caso di alcuni private equity, per esempio di Apollo con Lottomatica».
C’è interesse per le aziende italiane da parte degli investitori internazionali?
«Molto e si capisce anche dalla composizione dell’azionariato dei gruppi già quotati. Un dato per tutti: nei periodi di scarsa fiducia nel Paese gli investitori americani detengono in media fra il 5 e il 10% delle grandi aziende scambiate a Piazza Affari, oggi siamo vicini al 30%».
Vale anche per le imprese che vorrebbero quotarsi?
«In Italia ci sono aziende straordinarie, ma talvolta mancano i capitali per crescere. Noi di Jefferies cerchiamo di distinguerci dai concorrenti mettendoci al servizio dei clienti, trovando soluzioni strategiche e di finanziamento personalizzate».
Ma a che scopo le aziende italiane cercano capitali?
«La transizione energetica e digitale sono gli impieghi più scontati. Gli investimenti necessari sono però tali che si rende inevitabile la creazione di gruppi di caratura europea. Mi aspetto allora un aumento delle fusioni e del consolidamento fra aziende italiane e di altri Paesi Ue, anche per rispondere alla concorrenza pressante sui costi».