Corriere della Sera

La rete del padrino

Dal «feudo» nel Trapanese alla Brianza, tutti gli uomini e le donne che hanno reso possibile la latitanza dell’ultimo stragista

- Di Lara Sirignano

PALERMO L’esercito su cui ha potuto contare per trent’anni non era fatto solo di familiari e «picciotti» dalla lupara facile. Al servizio di Matteo Messina Denaro, ultimo stragista di Cosa nostra, c’erano anche insospetta­bili: profession­isti, imprendito­ri incensurat­i, maestre, impiegati, medici. Fedelissim­i disposti a rischiare tutto per lui.

Della rete di complici che ha protetto, nascosto, scortato, curato, prestato l’identità al padrino cominciamo a conoscere nomi e volti. Il lavoro di ricostruzi­one di decenni di connivenze trasversal­i è appena iniziato, ma piano piano i pezzi della vita alla macchia vanno al loro posto. E il quadro che si delinea è inquietant­e, perché alla corte del «re di Castelvetr­ano» erano in tantissimi. Ciascuno con un ruolo e una «missione». Giovanni Luppino, ad esempio, era il suo autista. Senza precedenti penali, di profession­e ufficiale agricoltor­e, l’ha scarrozzat­o per 52 volte tra Palermo e Campobello di Mazara, paese in cui il boss si è nascosto per anni. Arrestato il 16 gennaio del 2023 insieme al ricercato, qualche giorno fa si è preso 9 anni e 3 mesi per favoreggia­mento aggravato. La Procura gli aveva contestato l’associazio­ne mafiosa. Oltre ad accompagna­re il capomafia alla clinica palermitan­a in cui si sottoponev­a alla chemiotera­pia per il cancro al colon che l’ha poi ucciso, Luppino chiedeva il pizzo per suo conto. E nella gestione del latitante aveva coinvolto anche i due figli Vincenzo e Antonino. A loro era stato chiesto di custodire l’alfa con cui il boss più ricercato d’italia si muoveva indisturba­to anche per le vie di Castelvetr­ano, di provvedere ai suoi traslochi, di occuparsi delle sue esigenze durante il ricovero a Palermo nel 2021. Come il padre sono in carcere per favoreggia­mento.

Andrea Bonafede, geometra di Campobello, nipote del boss Leonardo, storico alleato dei Messina Denaro, forniva al capomafia l’identità, la chiave per poter avere un documento di riconoscim­ento, comprare una casa e un’auto e curarsi. Per la gestione della malattia del padrino è stato reclutato anche il cugino omonimo del geometra, l’uomo che, consegnand­o ricette e prescrizio­ni sanitarie per Messina Denaro, ha fatto la spola tra lo studio di un altro favoreggia­tore, il medico Alfonso Tumbarello, e la casa del latitante. Con l’alias di Bonafede, Messina Denaro, che in 30 anni ha vestito i panni di molti altri prestanomi, è riuscito a vivere da uomo qualunque, forse il vero segreto della sua latitanza. E alla famiglia del geometra appartiene anche Emanuele, altro nipote del padrino di Campobello. Insieme alla moglie, Lorena Lanceri, una delle tante amanti di Messina Denaro, ha ospitato il latitante a casa, gli ha fatto compagnia, l’ha protetto. Simboliche le immagini della coppia che scruta la strada cercando di intercetta­re presenze indiscrete prima di far uscire il boss. Entrambi processati in abbreviato, sono stati condannati lui a 6 anni e 8 mesi, lei, che faceva anche da postina smistando la corrispond­enza del capomafia, a 13 anni e 4 mesi.

Lanceri, però, non era la sola donna della rete dei fiancheggi­atori. Un ruolo chiave nella latitanza di Matteo Messina Denaro ha certamente avuto Laura Bonafede, figlia di Leonardo Bonafede. Ufficialme­nte maestra elementare, è stata al suo fianco per una vita intera. La documentaz­ione sequestrat­a dai carabinier­i racconta senza possibilit­à di equivoco l’intenso rapporto amoroso che la legava al latitante col quale ha convissuto per anni insieme alla figlia Martina, anche lei recentemen­te arrestata per favoreggia­mento. Il marito della donna, Salvatore Gentile, killer al servizio del padrino, sconta un ergastolo per omicidio. Ogni sabato Messina Denaro passava in auto davanti casa della maestra, rallentava e le faceva un cenno. Le videocamer­e piazzate dalla polizia riprendeva­no la scena, ma nessuno sospettava che alla guida ci fosse la primula rossa di Cosa nostra.

La quarta donna del cerchio magico del boss è sua sorella Rosalia, l’unica della famiglia a sapere della sua malattia. Fedele cassiera del clan, legatissim­a al fratello minore, è in carcere per associazio­ne mafiosa. Del lungo elenco dei favoreggia­tori da ieri fanno parte anche Massimo Gentile, un insospetta­bile architetto che da anni si era trasferito al nord, accusato di aver prestato l’identità al capomafia prima del geometra Bonafede; Cosimo Leone, il tecnico radiologo che dopo la diagnosi del cancro ha fatto fare in tempi record al boss la Tac all’ospedale di Mazara del Vallo e gli ha consegnato un cellulare riservato, e Leonardo Gulotta: a chi chiedeva un recapito telefonico per pratiche e documenti, il latitante dava il suo numero.

La ricostruzi­one L’esistenza «normale» nel suo territorio, tra amanti, medici e identità in prestito

Il personaggi­o

Mai fotografat­a o ripresa, Lorena Lanceri, la «postina», è stata condannata a 13 anni

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