C’è anche il «compagno Rancore» Faide, epurazioni e vendette nel grande risiko delle liste pd
Da Lotti a Provenzano, le «vittime» delle battaglie per i posti alle elezioni
ROMA «La vecchia scuola insegnava una cosa fondamentale. Quando si fanno le liste, l’unica persona che devi tenere fuori dalla porta è il compagno Rancore», ebbe a commentare in privato il vecchio custode dell’ortodossia postcomunista Ugo Sposetti, già senatore del Pd, quando seppe che dalle liste del partito per le Politiche del 2022 era stato depennato il nome di uno che pure gli stava antipatico e col quale aveva battagliato per anni, l’ex renziano Luca Lotti. La personificazione dell’astio e della vendetta personale — col carico di frustrazioni scaricate sulle liste elettorali a partire dalla Seconda Repubblica perché nella Prima (dove pure nei partiti ci si odiava tanto a vicenda) un po’ non usava, un po’ con le preferenze erano difficili da praticare — tornarono a materializzarsi nel quartier generale del Nazareno nell’estate del 2022 anche perché, a depennare Lotti, quella volta era stato un ex depennato, Marco Meloni, messo da Enrico Letta a fare il guardiano delle candidature anche in virtù della sua vecchia estromissione, per mano del Lotti di cui sopra, dalle candidature delle elezioni precedenti.
Lo show in corso nel Partito democratico sulle liste per le Europee — maggioranza contro minoranza, mozione Schlein contro mozione Bonaccini, candidati della società civile contro politici tout court e viceversa, chi fa il capolista e chi scala dietro — rappresenta per il centrosinistra un eterno ritorno dell’uguale. Mobile come la celebre donna del Rigoletto, con assetti di potere che mutano come piume al vento, il tavolo delle liste risente di quel vecchio adagio riciclato nella contemporaneità come scritta sui muri dei cimiteri, «noi fummo ciò che voi siete / voi sarete quello che noi siamo», con la differenza che per fortuna nel Pd sono tutti vivi: ex esponenti della minoranza diventati maggioranza, pronti a depennare chi li aveva depennati; ed ex capi in testa poi relegati al rango di spettatori, pronti a essere castigati con quel tratto di penna con cui la volta precedente avevano castigato.
Con Renzi leader del Pd, nel 2016, era sparito dal Parlamento un pezzo della sinistra del partito, compresi molti di coloro che oggi hanno guadagnato la ribalta. Su tutti, tanto per fare un nome, Peppe Provenzano, che nella notte della chiusura delle candidature per le Politiche del 2018 venne retrocesso in posizione non eleggibile nella circoscrizione Sicilia 1 a causa del sorpasso in extremis — agevolato dai renziani — di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Salvatore, detto Totò. Nel giro successivo, Provenzano è ai vertici del Pd; e chi l’ha fatto fuori è scomparso, dalle liste e dai radar.
Nell’epoca Bersani, a ridosso del Natale 2012, si era consumato in una notte lo scontro con i renziani, usciti sconfitti dalla contesa per la premiership. A farne le spese, tra i tanti, l’ex sindaco di Piacenza (e acerrimo nemico di Bersani stesso sul territorio) Roberto Reggi, che aveva guidato la campagna del rottamatore alle primarie di qualche mese prima. Anche un pezzo della società civile entrato in Parlamento col primo Pd del 2008 salutava per sempre il corridoio dei passi perduti di Montecitorio. Per esempio il giornalista Andrea Sarubbi, che considerato (e ormai consideratosi) «bruciato» dopo un sola legislatura, chiese polemicamente: «La società civile serve solo finché è vergine?».
Tema che ritorna di grande prepotenza, ma declinato all’inverso, oggi che nelle liste per le Europee preferite da Elly Schlein la società civile si riprende posti che aveva perso, con le tante voci che rincorrono giornaliste a giornalisti di fama (Lucia Annunziata e Marco Tarquinio), filantropi acclamati (Cecilia Strada) e chi più ne ha più ne metta. La replica di uno show antico quanto il Pd, praticamente. Anche se Pina Picierno, che a Bruxelles era stata mandata per la prima volta nel 2014 forse contro la sua stessa volontà e che oggi rischia di retrocedere in posizioni di rincalzo, lamenta lapidaria che «il Pd non è l’isola dei Famosi». Forse.