«Engie, per la transizione diventano centrali città, scuole e musei»
Iacono: serve più flessibilità e pensare oltre il Pnrr
«I costi degli eventi climatici estremi sono più alti dei costi della transizione ecologica ed energetica». C’è molta confusione intorno alla necessità di decarbonizzare, la spinta per tornare indietro, non manca. Ma Monica Iacono, amministratrice delegata e country manager di Engie Italia, ne è convinta: «È un passaggio inevitabile, i temi sono il tempo e la velocità. Siamo in ritardo ma i segnali che arrivano sono rassicuranti. Le imprese sono sempre più consapevoli di questa trasformazione».
Il gruppo è presente in Italia dagli anni Cinquanta, circa 3.200 persone, un milione di famiglie clienti. Nel mondo Engie occupa 96 mila persone. Ma c’è un settore che potrebbe essere decisivo «quello della pubblica amministrazione: abbiamo avviato progetti con più di 350 realtà, dai Comuni, alle Università, ai musei. Il ruolo del pubblico in questo passaggio è decisivo. E la formula del partenariato è un buon mix di collaborazione con i privati».
Ma qual è il vostro progetto di trasformazione? «La nostra missione è quella di aiutare i nostri clienti a decarbonizzare i loro consumi, farli consumare meno e meglio attraverso soluzioni di efficienza energetica, valorizzando l’autoconsumo e accelerando il più possibile lo sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabile. Nel momento in cui assistiamo ad una crescita significativa della produzione da fonti rinnovabili e in cui giochiamo un ruolo da protagonisti , diventa fondamentale avere degli strumenti per gestire la flessibilità di questi consumi. Perché? Perché le rinnovabili sono di per sé intermittenti e decentralizzate, questo vuol dire che la gestione della capacità di flessibilità, quindi delle batterie, sarà fondamentale. Sia in qualità di precursori e in maniera totalmente sostenibile, stiamo portando avanti la trasformazione spingendo su rinnovabili e batterie».
I numeri: la capacità installata è di oltre 500 megawatt e l’obiettivo per il 2030 è arrivare a 2,1 gigawatt. Quattro volte di più. Nel mondo il gruppo conta su 41 gigawatt. «La transizione spesso ha una connotazione politica, dovrebbe invece essere più neutrale, l’indipendenza e la sicurezza energetica passano solo dalla transizione. E bisognerebbe guardare al sistema nel suo insieme, più che alle singole parti. Unire i puntini ed essere più pragmatici. Gli obiettivi a lungo termine ci sono, si tratta di fissare dei check point di verifica, di messa a terra». Eppure la spinta ideologica è forte? «Lo ripeto, bisogna consumare meno e meglio. Non cercare la soluzione con la “S” maiuscola, ma le soluzioni. Oltre alle rinnovabili elettriche, anche il biogas, l’idrogeno e agli accumuli. Gli attori sono molti, abbiamo un accordo con il comune di Firenze per gestire oltre 450 edifici, obiettivo: dimezzare le emissioni. L’anno scorso abbiamo avviato il cantiere del Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli. Con un investimento pubblico-privato di 45 milioni. Si arriverà al 90% di autoconsumo di energica rispettando il valore artistico, per esempio con un impianto fotovoltaico sul tetto integrato e invisibile».
Per Iacono sono «necessari progetti bandiera che aumentino anche la consapevolezza delle persone. A Fiumicino abbiamo realizzato un progetto per l’autonomia energetica di tutte le scuole comunali, questo significa che anche i ragazzi e le ragazze diventano più sensibili e consapevoli perché vedono cose che accadono non parole». Le comunità energetiche? «Finalmente sono arrivati i provvedimenti ma forse la soglia di un megawatt è troppo bassa».
La pubblica amministrazione può giocare un ruolo decisivo «ma nelle gare la parte energetica ha ancora una dimensione ancillare rispetto agli altri parametri, la filiera dell’energia per un Paese come l’italia è invece sempre più strategica. Entro giugno si concluderà la consultazione per il Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, ndr) e questa potrebbe essere l’occasione per rivedere gli schemi incentivanti. Bisogna tener conto delle nuove tecnologie e che il Pnrr finisce nel 2026 mentre è necessario ragionare su tempi che vadano oltre». Progetti come con l’università Ca’ Foscari di Venezia o come l’agrivoltaico in Sicilia, uno spazio grande come 161 campi da calcio. «Con Amazon abbiamo un contratto per fornire loro energia rinnovabile in tutti i siti logistici, la frontiera dei data center ha bisogno di molta energia. E servirà quella con minore impatto sul pianeta. Il teleriscaldamento copre circa il 3 per cento del fabbisogno termico nazionale ed è un altro settore che può crescere. Ma la vera svolta arriverà con le piccole e medie imprese, il tessuto italiano».
La gestione
Le rinnovabili sono intermittenti e decentralizzate. Per questo la gestione della capacità di flessibilità, quindi delle batterie, sarà fondamentale