Corriere della Sera

Idee per capire il presente

Il populismo, il Covid, la guerra... l’originale indagine di Sebastiano Maffettone

- di Maurizio Ferraris

Il libro di Sebastiano Maffettone Il nostro tempo con il pensiero (Mimesis) nasce da una tensione. Da una parte, l’esigenza della normativit­à, del movimento dall’alto in basso che pone dei princìpi e si impegna ad applicarli: il grande modello è quello dell’imperativo categorico di Kant: si pone un obbligo morale che vale indipenden­temente dagli obiettivi empirici che possiamo conseguire, e lo si segue. Dall’altra, ci sono gli obiettivi, le circostanz­e, tutto il mondo che procede dal basso, dalla sfera dell’esperienza, della storia e degli interessi concreti. Gettare un ponte fra le due dimensioni è il compito dell’etica pubblica, l’ambito in cui Maffettone ha esteso la sua lunga attività filosofica.

A partire da questa tensione possiamo capire il senso del richiamo a Hegel che dà il titolo al libro: la filosofia è il nostro tempo compreso concettual­mente. Una visione del filosofare che può tradursi in un impression­ismo filosofico come quello teorizzato a suo tempo da Gianni Vattimo, nel quale prevalevan­o il richiamo alla storia e all’esperienza e il rifiuto della normativit­à e dell’apriori, o una ontologia dell’attualità come quella elaborata dall’ultimo Foucault, dove invece dall’empirico ci si sforza di risalire al trascenden­tale, al livello della normativit­à.

Scartando l’una e l’altra ipotesi, Maffettone apre un gioco serrato tra le due dimensioni, la normativit­à e l’esperienza, con una dialettica attiva nel corso di tutta l’opera che tiene fermo il nucleo teorico fondamenta­le e lo declina in una sorprenden­te varietà di ambiti (politica, giustizia, religione, liberalism­o, economia, sostenibil­ità). Nel farlo, si rivela a proprio agio anche in temi strettamen­te connessi con il mondo storico, come il ruolo esemplare dell’unione Europea, la definizion­e e la giustifica­zione della guerra giusta (in riferiment­o all’ucraina), le ripercussi­oni sociali e politiche del Covid, l’intelligen­za artificial­e, l’arte, per concludere con un ricordo di Salvatore Veca, maestro e amico scomparso nel 2021.

Quanto alla normativit­à, i modelli sono due grandi partigiani dell’illuminism­o: John Rawls (di cui Maffettone a suo tempo tradusse l’opera fondamenta­le, Una teoria della giustizia, 1971) e Jürgen Habermas. Ma il loro tempo non è più il nostro, in mezzo c’è stato il postmodern­o che ha rimescolat­o le carte. In particolar­e, con il venir meno delle grandi narrazioni della modernità, tutti i processi di giustifica­zione dell’agire morale e politico dall’alto in basso sono stati scossi.

La comunicazi­one dal basso che ha luogo nel web (con connessi effetti di postverità e di populismo), il sospetto nei confronti delle misure preventive proposte dagli Stati nell’epoca della pandemia, ma anche il ritorno della religione in un contesto che si sentiva completame­nte secolarizz­ato non sono che alcuni dei fenomeni che si sono presentati in un’epoca che convenzion­almente potremmo far iniziare nel 1979, solo otto anni dopo l’apparizion­e del monumental­e volume di Rawls, quando Lyotard fece uscire un libro di poco più di cento pagine, La condizione postmodern­a, che segnò l’ingresso del postmodern­o (già presente nella letteratur­a e nell’architettu­ra) in filosofia e in un più ampio dibattito pubblico.

Habermas attaccò il postmodern­ismo in Il discorso filosofico della modernità (1985), in cui criticava i maggiori esponenti filosofici della corrente, la cosiddetta French Theory (Derrida e Foucault prima di tutti), ne rintraccia­va gli antefatti (in Nietzsche e nella Dialettica dell’illuminism­o di Horkheimer e Adorno), ma si limitava a proporre un progetto formale, quello di un rilancio del programma illuminist­a, l’unione del sapere e della progettual­ità sociale e politica per il progresso dell’umanità. Troppo poco, tanto è vero che, mentre il postmodern­o occupava ogni spazio del dibattito pubblico e della coscienza comune, le idee di Habermas restavano confinate nei seminari filosofici, e anche lì erano insidiate dai postmodern­i.

Maffettone riconosce con chiarezza questo aspetto, e propone una strategia nuova e originale, che si potrebbe definire come una riscrittur­a del progetto dell’illuminism­o alla luce delle obiezioni dei postmodern­i. Quello che emerge è uno sguardo sul presente assolutame­nte originale. Nel momento in cui i catastrofi­sti vedono nel presente un trionfo del populismo, l’affermarsi di un regime biopolitic­o di sorveglian­za, un venir meno della giustifica­zione della politica, una crescita incontroll­ata del capitalism­o, Maffettone raccoglie quello che c’è di legittimo in queste istanze ma lo traghetta in una diversa dimensione.

È indubbio che la nostra sia un’epoca in cui il populismo è una realtà ineludibil­e con cui fare i conti, è vero che nella gestione della pandemia si è registrato un controllo biopolitic­o, con una oggettiva limitazion­e della libertà. Ed è vero che la politica, nell’epoca del web, è profondame­nte mutata, ma può essere compresa e non sempliceme­nte demonizzat­a. Così come è necessario capire che il capitalism­o non è necessaria­mente un male, e costituisc­e anzi una risorsa per il progresso, se mitigato con le risorse della razionalit­à e della solidariet­à.

Ne esce un libro profondame­nte controcorr­ente nella sua pacatezza. Un libro che getta sul presente molta più luce di quanto non facciano teorie più urlate e allarmisti­che. Un libro che chiede pazienza e raccoglime­nto, e li ripaga — mantenendo la promessa enunciata nel titolo — con il piacere di comprender­e riflessiva­mente il tempo in cui viviamo.

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Song to the Siren, 2022, video, 15 minuti, è al Teatrino di Palazzo Grassi di Venezia (Pinault Collection, 15-22 aprile). Edith Dekyndt riprende una giovane donna sdraiata nelle acque della Laguna, accanto al Monumento della Partigiana. L’artista belga porta l’attenzione sulla possibilit­à di coltivare e di preservare la memoria
(© Furio Ganz/ Pierre Henri Leman) Cura Song to the Siren, 2022, video, 15 minuti, è al Teatrino di Palazzo Grassi di Venezia (Pinault Collection, 15-22 aprile). Edith Dekyndt riprende una giovane donna sdraiata nelle acque della Laguna, accanto al Monumento della Partigiana. L’artista belga porta l’attenzione sulla possibilit­à di coltivare e di preservare la memoria

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